giovedì 5 marzo 2020

Le 10 sfumature del “degrado”.


L’assemblea Debitour tenutasi lo scorso 15 febbraio ci ha dato l’occasione di presentare i risultati di un lavoro iniziato nell'estate del 2019 e che ci ha permesso di visitare 10 mercati della periferia somministrando un questionario per meglio comprendere la percezione della città delle torinesi e dei torinesi.

Le risposte e le discussioni con le persone fanno emergere la vera faccia di ciò che frettolosamente viene definito dalla politica istituzionale come “degrado”, ma che invece è il risultato, con un'analisi meno superficiale, degli effetti dei tagli alla spesa comunale che si protraggono da oltre dieci anni, nonostante l'alternanza politica alla guida della città.

Povertà, riduzione dei servizi e dei trasporti pubblici, abbandono di strutture e aree verdi, raccolta dei rifiuti e pulizie inefficienti, mancanza di spazi e momenti di socialità lontano dalle vetrine luccicanti del centro, innumerevoli supermercati che uccidono i negozi, non sono altro che l'altra faccia di un'amministrazione comunale incapace d'investire seriamente sul futuro e che si riduce, nella sua azione, a proporre operazioni d'immagine come Co-City.

La nostra città ha la necessità di un cambiamento di rotta radicale che metta i bisogni del cittadino al primo posto e non più il pagamento del debito accumulatosi dall'esperienza economicamente fallimentare delle Olimpiadi.

Riproponiamo in maniera sintetica alcuni degli esiti di questo “debitour” nelle periferie in modo da farne un punto di partenza per le prossime mobilitazioni.

Innanzitutto, i quartieri toccati sono stati: Mirafiori, Santa Rita, Pozzo Strada, Cenisia, Cit Turin, Lucento, Borgo Vittoria e Barriera di Milano. In ogni mercato abbiamo incontrato persone e, con il pretesto dei questionari, ci siamo fatti raccontare un pezzetto della loro quotidianità. I questionari compilati e raccolti sono stati ben 132. Le domande aperte che ponevamo erano: come si vive nel quartiere? Quali sono i maggiori problemi? Che tipo di servizi pubblici utilizzi abitualmente? Quali mancano o hanno recentemente chiuso? Che cosa vorresti nel tuo quartiere? E infine: conosci il debito di Torino?

Molto spesso dalle chiacchiere e dai questionari è emersa tanta disillusione. Alla domanda: “come si vive nel quartiere?” Se la risposta non è stata direttamente “male”, nella maggior parte dei casi è stato un “bene” di una dignità rassegnata… il bene del “che cosa ci possiamo fare?” Proprio per affrontare questo tipo di risposte è stato utile andare nelle periferie. Per provare a smettere di abituarci ai negozi che chiudono, al traffico sempre più congestionato e al verde che progressivamente sparisce.

Lo storico quartiere di San Donato che ha subito processi di gentrification negli ultimi anni,
rappresenta bene la soglia di alienazione e spogliazione a cui può portare la messa a valore del territorio: il mercato di   piazza Benefica ha perso la maggior parte del suo verde per far spazio ad ulteriori banchi e tra questi abbiamo incontrato Anna (nome di fantasia) da sempre abitante del quartiere pensionata con la minima. Per il caro affitti spende i 4/5 della sua pensione per mantenere la casa e sopravvive grazie al sostegno della sua rete informale composta da vicini, negozianti e gestori del mercato. Senza questo aiuto avrbbe già dovuto probabilmente abbandonare il quartiere perché non più a portata delle sue possibilità economiche: insomma sei povera? Non ti vogliamo più in questa zona!

Uno sguardo alle risposte riguardanti i maggiori problemi del quartiere offre un quadro a dir poco variegato: il 13% di queste riguarda la manutenzione urbana e del verde; il 10% le disfunzioni del trasporto pubblico; un altro 10% la pulizia; seguono: mancanza di aree verdi (10%), mancanza di luoghi di aggregazione (8%), la criminalità (7%), il traffico e l’inquinamento (7%) e così via… Alla luce di tale molteplicità di tematiche viene da chiedersi: di cos’altro abbiamo bisogno per sbarazzarci delle semplicistiche, se non strumentali, narrazioni che dipingono la cittadinanza o in preda alle paure e quindi bisognosa di qualunque cosa possa migliorare la sicurezza oppure totalmente sprovvista di senso civico e incapace autonomamente di prendersi cura degli spazi pubblici?

Le risposte sui servizi pubblici utilizzati mostrano come gran parte dei partecipanti utilizzi i trasporti pubblici (47%), seguiti dai presidi sanitari (12%) e da altre risposte come: i luoghi di aggregazione, il verde, le biblioteche e così via. Soffermarsi sulla questione dei trasporti è senza dubbio importante: rinunciare a migliorarne l’efficienza significa condannare chi vive in periferia all’isolamento, oppure costringere ad usare la macchina aggravando una situazione di inquinamento e traffico che ha ormai raggiunto un livello intollerabile. Le persone ci raccontano di corse sempre più diradate, soprattutto la sera e nei fine settimana.

Per quanto riguarda i servizi mancanti o che sono stati chiusi, circa un quarto dei partecipanti non ha individuato carenze, contro un abbondante tre quarti di risposte che vanno dai negozi di quartiere (13%) ai luoghi di aggregazione per giovani e anziani (13%) passando per le biblioteche (12%), le strutture sanitarie (9%), la cultura e le strutture sportive (4%).

Emblematico ci è apparso in questo senso lo scenario che circonda l'area del mercato di corso Brunelleschi nel quartiere di Pozzo Strada: a poche centinaia di metri di distanza troviamo il cosiddetto “prato dei conigli”, area pubblica, mai trasformata in vera area verde per la consueta mancanza di fondi comunali e definitivamente venduto a fine anno ad una multinazionale che edificherà l'ennesimo supermercato in una zona già ad alta densità commerciale. Attorno al mercato di corso Brunelleschi, infatti, in un’area di meno di 1 km sorgono infatti già altri due supermercati. Un’area che una volta vedeva un’alta densità di piccole rivendite commerciali e di artigiani in pochi anni si è vista stravolta. Il prato, diventato per un periodo provvidenziale rifugio per un nucleo di conigli d'appartamento abbandonati, era un raro esempio di spazio verde pubblico mai edificato, ma in questa logica non ha potuto che diventare una vittima, insieme ai suoi ospiti della messa a valore del territorio e infine venduto.

A poca distanza dal prato continua la chiusura della biblioteca Carluccio, ferma dal 2015 per ristrutturazioni (rimozione amianto), mai terminate anche qui per mancanza di fondi: e le dichiarazioni dell'Assessore Leon che "esclude" il problema di risorse e definisce la biblioteca "edificio sfortunato" non ci permetto di essere ottimisti rispetto alla riapertura.

Sempre a poca distanza è invece in piena attività l'ennesimo cantiere privato che vedrà la realizzazione di alcuni palazzi da venti piani su un altro terreno pubblico svenduto: quello dell'ex istituto professionale Mario Enrico. Questa storica scuola, che ha professionalizzato generazioni di studenti torinesi, dopo anni di abbandono era stato occupato da numerose famiglie senza casa, in breve tempo sgomberate per poi mettere in vendita l'edificio e consentire così l'ennesima cementificazione.

Anche le risposte a “cosa vorresti nel tuo quartiere?” suggeriscono una molteplicità di aspetti molto significativi. Primo fra tutti il bisogno di luoghi di socializzazione e aggregazione. Cioè di spazi che siano liberi, sottratti alle logiche del privato, fruibili per tutte le fasce di età. L’amministrazione pensa forse di rispondere a queste mancanze lasciando stagnare all’infinito la questione dell’apertura della biblioteca Carluccio? Le ultime notizie che annunciano la chiusura anche per quest'anno dell'adiacente piscina Trecate confermano il disinteresse per i problemi delle periferie.

Pulizia e manutenzione urbana sono tra le necessità maggiormente evocate, ma anche in questo caso il Comune potrebbe difendersi dicendo che non ci sono i soldi.

Che dire poi della domanda sul debito? Il vero nodo di tutte queste questioni? La retorica sull’alto livello del debito torinese che tarpa ogni ambizione di mettere in campo politiche utili e coraggiose è sicuramente stata pervasiva e ha martellato fino allo sfinimento. Il 48% di coloro che hanno risposto al questionario ha infatti sentito parlare del debito di Torino, contro un 37% che non conosce la questione e un 9% che ne sa molto poco. Ma quanti cittadini e cittadine sono a conoscenza delle origini di questo debito? Di fronte alla desolazione che si incontra in alcune aree di Torino, come si può affermare che questo debito è stato ed è utile per ricostruire il benessere della città?

Il debito condiziona quindi senza ombra di dubbio le condizioni della città, la sua vivibilità, le sue possibilità di sviluppo economiche e culturali. Ma la questione ancora più grave e che nessun gruppo politico presente in Consiglio Comunale, a parte la consigliera Artesio, vuole mettere in dubbio la legittimità di contratti che strangolano noi abitanti ed arricchiscono le banche private: e così il futuro diventa un senso unico verso il disastro sociale.