venerdì 11 dicembre 2020

IL BUONO SPESA DISCRIMINATORIO



Nella città di Torino è ripartita la possibilità di fare richiesta per i buoni spesa sul portale dedicato. Le risorse ammontano a 4 milioni e 600 mila euro, di questi 2 milioni e mezzo per i voucher buoni spesa mentre 2 milioni e 100 mila euro andranno alla rete "Torino Solidale" per i panieri.

La prima tornata torinese di buoni spesa è purtroppo nella memoria di tutt*: esauriti in pochissimo tempo perché l'Amministrazione aveva scelto, a differenza  di tantissime altre città, di non fissare un limite di reddito nella richiesta.

Questa seconda erogazione non è, al pari della prima, esente da criticità:
1) i cittadini non possono scegliere tra voucher o paniere perché "Torino Solidale" è un modello di welfare avanzato (secondo Appendino) quindi deciderà per te.
2) Il buono spesa è discriminatorio perché la richiesta è permessa solo ai residenti. 

Giova ricordare all'Amministrazione pentastellata che il 22 aprile del 2020 due sentenze hanno bocciato il tentativo di discriminazione razziale nell'ambito dei buoni spesa: a Roma il tribunale civile ha accolto il ricorso di un immigrato filippino sprovvisto di permesso di soggiorno e residenza; a L'Aquila l'estromissione di una famiglia pugliese non residente è stata sanzionata dal Tar Abruzzo.

Altrove, cosa succede? Nella richiesta per i buoni spesa di Napoli si può leggere: per titolari di residenza di prossimità o richiedenti asilo o in attesa di protezione internazionale, compresi coloro i quali abbiano fatto domanda e non gli sia stata ancora riconosciuta.
A Padova, grazie anche alle pressioni politiche di Potere al Popolo, il Comune ha deciso di eliminare per questa seconda tornata il criterio della residenza per i richiedenti.

Sentenze:
Napoli:
Padova:

mercoledì 2 dicembre 2020

Una mail per bloccare l'abolizione dei contributi e degli assegni di cura per l'assistenza domiciliare di malati cronici e anziani

E’ avviato in Senato l’esame della Legge finanziaria 2021. Il Direttore generale della Programmazione del Ministero della Sanità Andrea Urbani  ha illustrato il 21 ottobre scorso alla Commissione Sanità del Senato un succinto documento contenente le linee guida ministeriali per la riforma della medicina del territorio.

Pomposamente intitolato “Potenziamento e riqualificazione della medicina territoriale” il documento di 4 (diconsi quattro) pagine, promette 10 miliardi di investimenti, 1,5 dei quali destinati alle RSA dove il dramma della pandemia Covid è stato più devastante per la disorganizzazione delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie e la mancanza di personale.

Invece di favorire le cure domiciliari, il Ministero della Sanità ha però abolito  contributi e assegni di cura  destinati a malati cronici non autosufficienti adulti e anziani per aiutarli ad affrontare le spese delle cure a domicilio – in alternativa al ricovero -  quando la famiglia è disponibile con l’aiuto di terze persone.

Un’altra violazione del diritto alla sanità pubblica e della particolare  tutela dovuta ad esseri umani indifesi, dei quali vanno rispettate la dignità e le personali esigenze.

Per bloccare l'abolizione di contributi e assegni di cura per l'assistenza domiciliare di malati cronici e anziani, se condividete inviate una mail con il seguente oggetto e testo ai membri della Commissione Igiene e Sanità del Senato (gli indirizzi sono riportati sotto il testo):

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No all'abolizione di contributi e assegni di cura per l'assistenza domiciliare di malati cronici e anziani

Onorevoli senatori e senatrici

vi chiedo di respingere la proposta che vi ha  presentato il 20 ottobre u.s. il  Direttore generale del Ministero della Salute, che abolisce i contributi forfettari e assegni di cura a carico della sanità per i malati cronici non autosufficienti adulti e anziani, a sostegno dei maggiori oneri che devono affrontare per poter essere curati a domicilio (in alternativa al ricovero) nei casi in cui possono contare sulla disponibilità volontaria di congiunti o sull’aiuto di terze persone valutate idonee dalla commissione preposta dell’ASL. 

Le cure dei malati cronici non autosufficienti  devono rientrare nella competenza della Sanità e delle relative risorse, per garantire i diritti sanciti per tutti i malati, compresi quelli cronici e non autosufficienti, dall’art.1 e segg. della legge 833/1978, che vieta ogni discriminazione. 

 luogo e data                                                                                           nome e cognome

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la mail va inviata ai seguenti indirizzi (facendo copia di tutto e incollandolo nel campo 'A'):

annamaria.parente@senato.it, paola.boldrini@senato.it, mariacristina.cantu@senato.it, giovanni.endrizzi@senato.it, francesco.zaffini@senato.it, paola.binetti@senato.it, caterina.bini@senato.it, segreteria.castellone@senato.it, elena.cattaneo@senato.it, luigi.dimarzio@senato.it, carlo.doria@senato.it, davide.faraone@senato.it, sonia.fregolent@senato.it, vanna.iori@senato.it,michelina.lunesu@senato.it,raffaella.marin@senato.it, gaspare.marinello@senato.it, raffaele.mautone@senato.it, elisa.pirro@senato.it, giuseppe.pisani@senato.it, matteo.richetti@senato.it, maria.rizzotti@senato.it,  marco.siclari@senato.it, laura.stabile@senato.it, segreteriaministro@sanita.it


Nota della Fondazione Promozione Sociale Onlus di Torino

Nello specifico si osserva che il provvedimento del Ministero della salute:

1.   per quanto riguarda le prestazioni domiciliari, prevede un incremento dell’Adi (assistenza domiciliare integrata), che – com’è noto alle associazioni che seguono i casi individuali – è certamente utile, ma del tutto insufficiente per i malati cronici non autosufficienti. L’Adi prevede infatti l’attivazione a discrezione del medico di medicina generale del paziente esclusivamente di interventi professionali come il passaggio periodico del medico, o dell’infermiere per le medicazioni. Si tratta di interventi limitatissimi (qualche ora alla settimana al massimo), limitati nel tempo e che non prevedono assolutamente attività tutelari (nutrizione, idratazione, mobilizzazione… del malato).

Le associazioni, come noi,  che seguono concretamente i casi individuali dei malati non autosufficienti e,  a maggior ragione, le famiglie stesse che hanno un loro caro in questa drammatica situazione, sanno che in questi casi oltre alle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie domiciliari, sono indispensabili ulteriori prestazioni per garantire la loro sopravvivenza, tenuto conto che hanno esigenze indifferibili, necessitano di sorveglianza 24 ore su 24 e sono totalmente dipendenti dall’aiuto di terzi per le funzioni vitali (igiene personale, assunzione terapie, mobilizzazione, alimentazione, idratazione…).

A fronte di questa condizione di bisogno sanitario, il documento presentato il 20 ottobre u.s. alla Commissione Igiene e sanità del Senato, dal Direttore generale del Ministero della salute, non prevede né contributi forfettari, né assegni di cura a carico della sanità per i malati cronici non autosufficienti adulti e anziani, a sostegno dei maggiori oneri che devono affrontare per poter essere curati a domicilio (in alternativa al ricovero) nei casi in cui possono contare sulla disponibilità volontaria di congiunti o sull’aiuto di terze persone valutate idonee dalla commissione preposta dell’asl;

2.   in riferimento alle Rsa è lontano dalla riforma radicale dell’organizzazione delle cure che tutti noi  chiediamo; benché sia ormai emersa e riconosciuta la totale disorganizzazione delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie e la carenza degli standard del personale di ogni professionalità, gli interventi proposti riguardano solo aggiustamenti strutturali e telemedicina. Nulla viene proposto per quanto concerne la riorganizzazione delle cure e l’implementazione conseguente degli standard del personale;

3.   prevede ospedali di comunità con la missione di decongestionare gli ospedali dai ricoveri attraverso il pronto soccorso. Invito a leggere al riguardo quanto riferisce il “Quotidiano sanità”, perché si prevedono degenze brevi (15-20 giorni) che «hanno lo scopo di facilitare le dimissioni fornendo alle famiglie e ai servizi territoriali il tempo necessario per organizzarsi» e si precisa che «i suddetti posti letto sono dedicati a soggetti che necessitano di assistenza infermieristica continuativa e assistenza medica programmata». L’esperienza che abbiamo già sperimentato sono gli ospedali di comunità della Regione Veneto, che in contrasto con le norme vigenti (vedi ad esempio l’articolo 30 del dpcm 12 gennaio 2017) applicano richieste di pagamento, se si superano i termini di ricovero prestabiliti a tavolino. Esperienze analoghe si ritrovano nelle case di cura utilizzate per le cure intermedie di lungodegenza e riabilitazione, nonché nelle Rsa dell’Umbria e della Toscana, che dimettono i malati non autosufficienti al termine dei percorsi di cura predefiniti (o chiedono il pagamento della retta privata a loro carico), salvo che i congiunti siano informati e utilizzino l’opposizione alle dimissioni con richiesta di continuità terapeutica. In Lombardia stiamo seguendo la situazione di una donna di 50 anni, in stato di minima coscienza, che sarebbe stata dimessa a totale carico dei congiunti se i genitori non avessero ricevute le informazioni sui diritti della paziente. Ricordo che con le associazioni Diana (Verona), Umana (Perugia), Senza limiti (Milano), Associazione promozione sociale (Torino) abbiamo contestato i tempi di durata dei ricoveri scritti a tavolino con ricorso al Consiglio di Stato; la sentenza 1858/2019 – pur negativa per tutti gli altri aspetti sollevati – ha comunque riconosciuto che «non è cogente», cioè non trova fondamento alcuno nella legge e perciò è illegittimo, il periodo di ricovero prefissato. Infatti, il malato cronico non autosufficiente ha diritto – come tutti – alla continuità terapeutica fino alla presa in carico dell’Asl di residenza (articolo 1 e 2, legge 833/1978), per cui non si possono stabilire tempi di degenza a priori.