Per fare cassa, il Consiglio Comunale vende IREN ai privati
Una scelta sbagliata
Un incasso di 60 milioni su oltre 3 miliardi di debito non risolve nulla. Il debito di Torino continua a strozzare ogni possibilità di sviluppo della nostra città. Ma ormai è diventato l’alibi per una politica sempre più feroce di austerità di cui l’attuale maggioranza si fa diligente esecutrice. Dov’è finito l’impegno elettorale di fare un audit sul debito, sui derivati e sugli interessi da usura che fa pagare a tutti noi?
Forse contestare il debito può sembrare una strategia a lungo termine che non risolve le urgenze di bilancio, ma se non si fosse continuato a procrastinare forse qualche risultato a 2 anni dalle elezioni già ci sarebbe. Inoltre, limitarsi a inseguire l’esistente significa che tra un anno saremo nelle stesse condizioni, a vendere un pezzo del patrimonio pubblico per fronteggiare i debiti.
Una scelta dannosa per la città
Se davvero s’intende ridurre l’inquinamento atmosferico favorendo la transizione verso l’elettrico non si consegna la risorsa strategica dell’energia alle grandi Multiutility dell’energia, come si è fatto in passato con gli sceicchi per il petrolio.
Non si affida ai privati la produzione delle energie rinnovabili.
Non si rinuncia al governo pubblico del teleriscaldamento e relative tariffe.
Una scelta miope e anti europea,
rispetto alla tendenza europea di riprendere in mano pubblica la produzione e la gestione dell’energia: oltre 300 casi in Germania (da grandi città come Amburgo, a centinaia di Consorzi Intercomunali) e ancor più numerosi in Gran Bretagna, tra cui Leeds, Bristol, Nottingham, Liverpool e ora anche Londra.
La proprietà pubblica dell’azienda energetica arricchisce la gamma di strumenti a disposizione del Comune per scelte di sviluppo delle infrastrutture, del territorio, della mobilità compatibile con l’ambiente.
Il Consiglio Comunale dia prova di vero senso di responsabilità. Quando il debito diventa una voragine inestinguibile che non può essere coperta nemmeno a prezzo di continui sacrifici, bisogna fermarsi e ragionare sulla sua legittimità.
Basta invocare il debito per giustificare la distruzione del patrimonio cittadino. A oltre due anni dalle elezioni è ora di cambiare strada. Il Consiglio Comunale di Torino compia un atto di responsabilità e di coraggio:
- non si presti a impoverire ancor di più i torinesi, a privarli dei loro beni comuni, a sfasciare l’Amministrazione comunale;
- la trappola del debito, come ogni ideologia totalitaria, porta con sé la tragica realtà di un impoverimento di massa scientificamente praticato;
- proceda a un'autentica auditoria popolare sul debito cittadino;
- dia seguito alla delibera del Consiglio Comunale sulla Cassa Depositi e Prestiti ponendosi alla testa di un movimento nazionale per restituirla alla sua funzione storica di grande strumento della finanza locale;
- proponga ai grandi Comuni, altrettanto indebitati, di compiere insieme questi passi coinvolgendo la cittadinanza.
Il municipalismo è un valore se si nutre di democrazia, partecipazione, equità e giustizia sociale.
Una scelta sbagliata
Un incasso di 60 milioni su oltre 3 miliardi di debito non risolve nulla. Il debito di Torino continua a strozzare ogni possibilità di sviluppo della nostra città. Ma ormai è diventato l’alibi per una politica sempre più feroce di austerità di cui l’attuale maggioranza si fa diligente esecutrice. Dov’è finito l’impegno elettorale di fare un audit sul debito, sui derivati e sugli interessi da usura che fa pagare a tutti noi?
Forse contestare il debito può sembrare una strategia a lungo termine che non risolve le urgenze di bilancio, ma se non si fosse continuato a procrastinare forse qualche risultato a 2 anni dalle elezioni già ci sarebbe. Inoltre, limitarsi a inseguire l’esistente significa che tra un anno saremo nelle stesse condizioni, a vendere un pezzo del patrimonio pubblico per fronteggiare i debiti.
Una scelta dannosa per la città
Se davvero s’intende ridurre l’inquinamento atmosferico favorendo la transizione verso l’elettrico non si consegna la risorsa strategica dell’energia alle grandi Multiutility dell’energia, come si è fatto in passato con gli sceicchi per il petrolio.
Non si affida ai privati la produzione delle energie rinnovabili.
Non si rinuncia al governo pubblico del teleriscaldamento e relative tariffe.
Una scelta miope e anti europea,
rispetto alla tendenza europea di riprendere in mano pubblica la produzione e la gestione dell’energia: oltre 300 casi in Germania (da grandi città come Amburgo, a centinaia di Consorzi Intercomunali) e ancor più numerosi in Gran Bretagna, tra cui Leeds, Bristol, Nottingham, Liverpool e ora anche Londra.
La proprietà pubblica dell’azienda energetica arricchisce la gamma di strumenti a disposizione del Comune per scelte di sviluppo delle infrastrutture, del territorio, della mobilità compatibile con l’ambiente.
Il Consiglio Comunale dia prova di vero senso di responsabilità. Quando il debito diventa una voragine inestinguibile che non può essere coperta nemmeno a prezzo di continui sacrifici, bisogna fermarsi e ragionare sulla sua legittimità.
Basta invocare il debito per giustificare la distruzione del patrimonio cittadino. A oltre due anni dalle elezioni è ora di cambiare strada. Il Consiglio Comunale di Torino compia un atto di responsabilità e di coraggio:
- non si presti a impoverire ancor di più i torinesi, a privarli dei loro beni comuni, a sfasciare l’Amministrazione comunale;
- la trappola del debito, come ogni ideologia totalitaria, porta con sé la tragica realtà di un impoverimento di massa scientificamente praticato;
- proceda a un'autentica auditoria popolare sul debito cittadino;
- dia seguito alla delibera del Consiglio Comunale sulla Cassa Depositi e Prestiti ponendosi alla testa di un movimento nazionale per restituirla alla sua funzione storica di grande strumento della finanza locale;
- proponga ai grandi Comuni, altrettanto indebitati, di compiere insieme questi passi coinvolgendo la cittadinanza.
Il municipalismo è un valore se si nutre di democrazia, partecipazione, equità e giustizia sociale.
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