giovedì 30 luglio 2020

SANITA', PRESENTIAMO IL CONTO - Cap. 3 La sanità in Italia prima del Covid

LA SALUTE COME DIRITTO FINANZIARIAMENTE CONDIZIONATO

(al fondo dell'articolo il video  "La sanità in Italia prima del Covid")



COME SI FINANZIA IL SSN
Il fabbisogno sanitario nazionale è determinato dallo Stato, in coerenza con il quadro economico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall’Italia in sede di Unione europea, coerentemente con il fabbisogno derivante dalla determinazione dei livelli essenziali di assistenza erogati in condizioni di efficienza ed appropriatezza. Il fabbisogno viene poi ripartito tra le Regioni in base ai i valori di costo rilevati nelle Regioni benchmark. Le Regioni impongono quindi a loro volta dei budget da rispettare alle singole aziende sanitarie.
Il fabbisogno sanitario nazionale standard è finanziato da: entrate proprie della regione (tickets), gettito di imposte regionali (IRAP e addizionale IRPEF)  e Stato (compartecipazione all'IVA, accise e FSN).


CORROSIONE DELL’ARTICOLO 32 
 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Il primo comma dell’articolo 32 della Costituzione, dal 1948, protegge la salute come ambito inviolabile della dignità umana e sancisce che nel nostro paese il sistema sanitario deve fondarsi sui principi di universalità, solidarietà ed equità. La Legge n 833 del 1978 istituì il Servizio Sanitario Nazionale nel solco del dettato costituzionale (assistenza pubblica, illimitata e incondizionata).

Presto questo sistema cominciò ad essere corroso.


AZIENDALIZZAZIONE DELLA SANITÀ 
Il Decreto Legislativo n 502 del 1992, trasforma le USL in Aziende Sanitarie Locali e Ospedaliere e, per far fronte alle difficoltà finanziarie del sistema, introduce una concezione di sistema sanitario per cui la spesa deve essere proporzionata alla effettiva realizzazione delle entrate e non può più essere commisurata esclusivamente all’entità dei bisogni. Il D.Lgs. n. 229/1999 accentuò la connotazione aziendalistica delle aziende sanitarie (autonomia imprenditoriale, attività orientata a criteri di efficacia, efficienza ed economicità). Elementi competitivi e mercantilistici entrano nella gestione della sanità.


DEFINANZIAMENTO

Negli anni, nell’ambito dell’obiettivo di efficienza e uso razionale delle risorse, il contenimento della spesa comincia a diventare elemento preponderante.
Nel periodo 2001-2018 la spesa sanitaria ha subìto una progressiva riduzione: a fronte di un tasso di crescita medio annuo del 6,4% nel quadriennio 2003-2006, il tasso di crescita del quinquennio successivo scende all’1,8%. Tale andamento si è ulteriormente consolidato nel periodo 2012-2018, dove la spesa sanitaria registra un tasso di variazione medio annuo pari allo 0,4% (Istat, “Conto economico consolidato della protezione sociale per il settore di intervento della sanità e per il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche", aprile 2019).


DOPO LA CRISI DEL 2008 LA SANITÀ È TRA I PRINCIPALI BERSAGLI DELLE POLITICHE DI AUSTERITÀ
Già negli anni 2000 furono previste sanzioni sui deficit di bilancio e forme di controllo della crescita della spesa. Poi, con la crisi del 2008, la spesa per la sicurezza sociale e in particolare quella sanitaria, furono il principale bersaglio delle politiche di austerità.


Il definanziamento della sanità pubblica è proseguito anche negli anni più recenti, diventando una costante. Nel periodo 2010-2019, il finanziamento pubblico è aumentato complessivamente di € 8,8 miliardi, crescendo in media dello 0,9% annuo in termini nominali, tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua pari a 1,07%, quindi un incremento che nell’ultimo decennio non è stato neppure sufficiente a mantenere il potere di acquisto (“4° Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale, 2019”. Su dati Istat, “Il sistema dei conti della sanità per l’Italia”).


NONOSTANTE  LE DIMENSIONI CONTENUTE DELLA SPESA SANITARIA 
Tutto ciò nonostante la spesa sanitaria presentasse dimensioni contenute (in rapporto al Pil e in valore assoluto): la spesa sanitaria italiana era tra le più basse in Europa già negli anni Novanta. 


TRA IL 2010 E IL 2019 SOTTRATTI AL SSN € 37 MILIARDI
Nel periodo 2010-2019 sono stati così sottratti al SSN circa € 37 miliardi (“4° Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale, 2019”).
La contrazione delle risorse ha favorito solo in minima parte miglioramenti dell’efficienza e una più efficace riorganizzazione dell’offerta (Ufficio Parlamentare di Bilancio, Lo stato della sanità in Italia, dicembre 2019).


TAGLIARE LA SANITÀ È PIÙ FACILE 
Lo Stato riesce con facilità a toccare la spesa sanitaria perché la riduzione di risorse non viene percepita immediatamente dall’opinione pubblica come invece avviene per altri capitoli di spesa (es. la spesa pensionistica). Lasciando poi alle Regioni l’onere di aumentare le imposte e ridimensionare i servizi offerti. Le regioni peraltro, anche sotto la minaccia dei Piani di Rientro, tendono a risparmiare per evitare di provvedere alla copertura di eccessi di spesa con finanziamenti a carico dei bilanci regionali.


SPESA SANITARIA PRO CAPITE ITALIANA INFERIORE A  QUELLA DEI MAGGIORI PAESI EUROPEI
La spesa sanitaria pubblica corrente in rapporto al PIL rappresenta 6,5% (in linea con la media Ocse ma inferiore alla maggior parte dei paesi dell’Europa nord-occidentale e agli Stati Uniti). Il dato pro-capite è allarmante: i 2.545 dollari in media spesi dal nostro SSN per ogni cittadino sono molto lontani, ad esempio, dai 5.289 dollari della Norvegia, i 5.056 della Germania, gli 8.949 dollari degli
Stati Uniti. Se si considera poi la spesa sanitaria pubblica pro-capite, in Europa ben 14 Paesi investono più di noi (peraltro anche paesi, come Regno Unito, Germania, Francia, Svizzera che non hanno sistemi completamente a finanziamento pubblico come il nostro).




TRA IL 2009 E IL 2017 IL SSN HA PERSO 46.000 DIPENDENTI

La contrazione della spesa sanitaria ha interessato tutte le componenti di spesa, ma ha colpito soprattutto personale sanitario e farmaceutica convenzionata. L’incidenza di quest’ultima sulla spesa sanitaria totale si riduce dal 12,8% del 2000 al 6,7% del 2017. Riguardo al personale l’incidenza sulla spesa sanitaria totale dei redditi da lavoro dipendente passa dal 39,8% del 2000 al 30,7% del 2017 (a causa delle imposizioni alle Regioni in Piano di Rientro, il contenimento nelle assunzioni, il blocco delle procedure contrattuali e il limite agli incrementi retributivi al personale dipendente). La sanità pubblica nazionale ha perso, tra il 2009 e il 2017, più di 46 mila unità di personale dipendente. Oltre 8.000 medici e più di 13 mila infermieri (Ragioneria dello Stato, MEF, Conto Annuale, vari anni).
Il contestuale consistente ricorso a personale “flessibile”, ha portato ad una precarizzazione del lavoro.
È la normativa nazionale ad imporre, dal 2006, un tetto alla spesa del personale (il limite massimo di impegno per la spesa per il personale dipendente è quello del 2004, che ammontava a € 29,5 mld, decurtato dell’1,3%) e i vincoli sono stati man mano confermati con diversi atti legislativi: legge 296/2006, legge 191/2009, decreto legge 95/2012 conv. con la legge 135/2012, legge 190/2014. Dal 2019 la spesa degli enti del SSN non potrà superare il valore sostenuto nel 2018 incrementato di un importo pari al 5 per cento dell’incremento registrato dal Fondo sanitario (decreto legislativo 35/2019).      
             

SOLO 3,2 POSTI LETTO OGNI MILLE ABITANTI
La normativa nazionale, ai fini del contenimento dei costi e per l’accesso al finanziamento integrativo, impone una limitazione delle dotazioni strutturali degli ospedali attraverso la fissazione di uno standard di posti letto massimo (inclusa riabilitazione e lungodegenza) attualmente pari a 3,7 posti letto per mille abitanti (DM 70/2015) (precedentemente fu 4,5 e 4 - legge 311/04, Intesa 2005 e Patto per la Salute 2010-12).
Attualmente nel nostro Paese il numero dei posti letto pro capite negli ospedali è inferiore a questa soglia poiché ci sono 3,2 posti letto ogni 1.000 abitanti, un numero molto basso rispetto a paesi come la Germania (8/1.000), la Bulgaria (7,5/1.000), l’Austria (7,4/1.000) e ai 5 ogni 1.000 abitanti della media dell’Unione europea.

Tra il 2010 e il 2018 i posti letto fra strutture pubbliche e private convenzionate con il SSN sono scesi del 13,7 % in termini assoluti e del 15,5 % in rapporto alla popolazione. Il calo dei posti letto pro-capite è stato più marcato per le strutture pubbliche (17,1 %), ma si è manifestato anche in quelle private accreditate (9 %) (MEF, Annuario Statistico del SSN 2017).                                                                                                                                                                                                                                   


DIFFICOLTÀ DI ACCESSO ALLE CURE E AUMENTO DELLE DISUGUAGLIANZE
Tutto ciò ha comportato una riduzione dei servizi sanitari, l’ampliarsi delle liste d’attesa e aumenti della compartecipazione alla spesa da parte dei cittadini (ticket - per specialistica ambulatoriale, accessi non urgenti al pronto soccorso, ricoveri ospedalieri, farmaci - ), ha pregiudicato le condizioni di accesso alle cure (colpendo soprattutto le categorie più deboli e aggravando le già importanti diseguaglianze sociali) e uno spostamento di domanda verso il mercato privato delle prestazioni e dei servizi sanitari, con oneri a loro carico (Ufficio Parlamentare di Bilancio, “Lo stato della sanità in Italia”, dicembre 2019).


AUMENTA LA SPESA PRIVATA
Il 27% della spesa sanitaria è privata (€ 41.789 milioni a fronte dei € 113.131 milioni di spesa pubblica), e la copertura pubblica è del 73%, peraltro in diminuzione. La componente privata è prevalentemente out-of-pocket, cioè un quarto della spesa sanitaria nel nostro Paese ricade direttamente sull’individuoLa spesa sanitaria diretta delle famiglie è cresciuta tra il 2012 e il 2017 del 14,9 % contro il 2,9 % di quella delle amministrazioni pubbliche (ISTAT, Sistema dei conti della sanità, giugno 2018; Rapporto Oasi 2019).


Peraltro è stato dimostrato che una parte notevole delle prestazioni private sono irrilevanti per la salute o fornisce servizi inappropriati, spesso legate anche a fenomeni di induzione da parte dell’offerta.
Nello stesso senso vanno le agevolazioni fiscali concesse alle misure di “welfare aziendale” e del welfare “di comunità”, realizzato dalle Fondazioni bancarie, fenomeni che a loro volta spingono verso privatizzazione e depotenziamento della sanità pubblica, gravando sui più deboli e creando discriminazioni a favore di chi è occupato (rispetto a chi non lo è) e a favore di specifiche categorie di lavoratori.


POCHISSIMI INVESTIMENTI E PREVENZIONE
Lo Stato agisce con una visione di breve periodo. Ha pensato soprattutto agli obiettivi di cassa per pervenire in tempi brevi ad una riduzione della spesa di parte corrente e molto poco agli investimenti in tecnologie, a far fronte all’obsolescenza di strutture e apparecchiature e per il rispetto delle norme sulla sicurezza (gli investimenti sono pari all’ 1,8% della spesa e nel periodo 2009-2017 quelli da
parte degli enti sanitari locali sono calati del 48%) (Corte dei Conti, Referto al Parlamento sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali 2017).

Non c’è poi cultura della prevenzione, che invece salva vite e riduce la spesa nel lungo periodo (e sicuramente non ci pensa il privato, perché la considera attività poco remunerativa). “Si potrebbe ridurre del 50% il peso delle cronicità se si facessero politiche di prevenzione efficaci, liberando grandi quantità di risorse da utilizzare anche per le emergenze” (Prof. R. Tarricone, Economia dei sistemi sanitari, Bocconi).


LA SALUTE COME DIRITTO “FINANZIARIAMENTE CONDIZIONATO” …
In base a quanto prevede l’articolo 32 della Costituzione e il sistema istituito dalla Legge 833/1978, l’obiettivo primario dovrebbe essere la prestazione adeguata in termini sanitari. Non può spettare alla decisione finanziaria definire il contenuto delle prestazioni, quindi del diritto. Le prestazioni per l’attuazione del diritto sono dovute in quanto tali (sono essenziali) e sul legislatore insiste il preciso dovere di garantirne in condizioni di efficacia ed efficienza gestionale le risorse finanziarie necessarie. Fino ad oggi invece quello alla salute si è presentato come diritto “finanziariamente condizionato”, espressione coniata dalla Corte Costituzionale (es. sent. 248/2011).



"La sanità in Italia prima del Covid"











martedì 28 luglio 2020

SANITA', PRESENTIAMO IL CONTO - Cap. 2: La finanza di progetto e il nostro diritto alla salute



                                   ovvero

perché i privati devono stare fuori dalla sanità in Piemonte e ovunque





(al fondo dell'articolo i video  La Finanza di Progetto: perchè i privati stiano fuori dalla sanità  e  Rossana Becarelli: Outsorcing e corruzione nella sanità piemontese)



OSPEDALI E FINANZA DI PROGETTO, UN ROVINOSO CONNUBIO?

Un ospedale è un bene pubblico sociale la cui natura e le cui funzioni possono ricondurlo anche alla categoria dei beni comuni (come dice Luca Benci, 2017). Si tratta infatti di un bene proprio della cittadinanza che non ha tra le sue finalità quella di generare profitti, ma soltanto di garantire la tutela dei diritti fondamentali attraverso la qualità delle politiche pubbliche.
Vista la loro importanza, quanto più evidente nella fase di emergenza che stiamo attraversando, è importante che gli ospedali vengano costruiti, siano resi efficienti ed accessibili alle persone che vivono nel territorio.


CHE COS’È INVECE IL LA FINANZA DI PROGETTO (PROJECT FINANCING)?

Si tratta di una particolare forma di Partenariato Pubblico-Privato (PPP). Con questa espressione si fa riferimento a tutte quelle forme di cooperazione tra pubblico e privato finalizzate alla costruzione, finanziamento e gestione di opere pubbliche o di pubblica utilità
.
La finanza di progetto, più in particolare, è una modalità di realizzazione delle opere pubbliche, ad esempio gli ospedali, che si affida al privato in maniera molto più significativa rispetto al semplice appalto. Nel PPP le realizzazioni comportano significativi investimenti a carico di soggetti privati i quali, almeno nella retorica dei suoi sostenitori, si accollano gran parte del rischio dell’operazione. In cambio, essi ricevono o una remunerazione differita al compimento dell’opera, quando l'ente pubblico inizierà a versare un canone per l’utilizzo dell’opera stessa, oppure, in cambio viene data la possibilità ai soggetti privati di beneficiare dei proventi derivanti dall'erogazione di servizi pubblici connessi con l'opera costruita.

Il PPP esiste nel mondo dagli anni ‘90. In Italia è stato introdotto nel ‘98 ma ha avuto più successo dopo la crisi finanziaria del 2008, a tragica conferma dell'irrazionalità di un sistema economico che dopo una crisi finanziaria mondiale promuove con ancora più convinzione degli strumenti finanziari complessi.
Perché il tema è importante oggi? In un momento di emergenza, viene tragicamente riportato al centro del dibattito il tema dell’efficienza degli ospedali, del loro equipaggiamento, nonché il tema dei costi della sanità!


SPIEGHIAMO IL FUNZIONAMENTO DEL PPP

L’Ente pubblico vuole costruire un ospedale, delinea un progetto di massima in base alle necessità di posti letto, laboratori ecc e calcola una spesa totale indicativa.
Quindi, affida l’incarico di occuparsi di tutto il resto ad un’ATI (Associazione temporanea di imprese) la quale si occuperà di cercare un promotore finanziario (di solito una ditta di costruzioni). Viene bandita una gara a cui partecipano vari raggruppamenti di imprese. Per partecipare, infatti, le varie ditte di costruzioni raccolgono dei partner (chi si occupa dell’impiantistica, chi fornisce ossigeno e altri gas medicali, chi fornisce energia elettrica, riscaldamento, pulizie, ecc). Le varie ditte chiedono ai partner: sei disposto a mettere tale percentuale? E così, man mano, si compone il budget iniziale messo dal privato.
Il pubblico anche lui ci mette una percentuale (stabilita per legge max 49%) e il privato ci mette il resto.
A questo punto, cosa prevede l’accordo secondo il modello project financing?
Il pubblico garantisce la restituzione dell’investimento iniziale a cui si aggiungono gli interessi e un canone (che di solito si aggira attorno ai 10-15% dell'investimento iniziale). In alternativa al canone, al privato viene affidata la gestione dei servizi “no-core” (quindi quelli non medicali) connessi con l’ospedale. Questi possono essere sfruttati economicamente in tutta libertà per un definito prefissato di anni che sono quelli ritenuti necessari per rientrare dell'investimento iniziale e delle varie spese di gestione e manutenzione nel corso del tempo realizzate. Il periodo di concessione è solitamente molto lungo, tra i 20 e i 30 anni.


LE CRITICITÀ DI QUESTO MODELLO SONO INNUMEREVOLI E LA LOGICA CHE ESSO ESPRIME È IPOCRITA E CRUDELE.

Innanzitutto, la costruzione di un ospedale, cioè di un bene comune utile alla collettività, diventa un’occasione di profitto. Anche se alle società private vengono affidate attività cosiddette "no-core" questa distinzione non annulla i problemi. Un ospedale, infatti, è una macchina complessa e tutte le sue parti sono indispensabili. Per fare un esempio: una chirurga bravissima che opera senza strumenti sterilizzati e a lume di candela ovviamente non riuscirà a fare granché! Facendo dunque un ragionamento di sistema, tutti i servizi che in qualche modo contribuiscono al funzionamento dell’ospedale sono anche loro "core".

A questo primo problema si aggiunge quello, strettamente connesso, della durata della concessione che come si è detto è di solito tra i 20 e i 30 anni. In pratica, si affida ad un monopolista per un periodo estremamente lungo la gestione dei servizi che stanno attorno alla vita dell’ospedale (affidamento che prima l'Asl faceva con appalti di servizi della durata di 3-5 anni al massimo). I servizi non sanitari diventano in questo modo per il privato una gallina dalle uova d’oro per fare rientrare il privato dai costi sostenuti per la costruzione dell’ospedale. Oltre quindi a innescarsi, nella fase iniziale, la corsa da parte delle varie ditte per riuscire a far parte dell’ATI, esiste un altro aspetto ben sottolineato da una relazione dell'ingeniere Ivan Cicconi:

"Il concessionario, a parte alcuni vincoli di informazione nei confronti del Concedente, nella gestione dei servizi non è sottoposto al rispetto delle norme del Codice dei contratti pubblici essendo sostanzialmente libero di affidare, subaffidare o appaltare a chi vuole e come vuole il servizio. Può ad esempio appaltare il servizio con una gara di appalto al massimo ribasso, seguendo solo le regole sancite nel Codice Civile. Siamo dunque in presenza di una sorta di privatizzazione della gestione dei servizi “no core”, nella quale il concessionario potrebbe, legittimamente, realizzare una convenienza data dalla differenza fra l'importo percepito dall'Azienda Ospedaliera e quello pagato all'appaltatore. L'affidamento dell'appalto avrebbe ovviamente una durata limitata esponendo l'appaltatore al rischio di pressioni distorte per garantirsi il rinnovo del contratto. L'interesse dell'appaltatore, o subappaltatore, o subaffidatario, ad avere rinnovato il contratto per tutta la durata della concessione lo rende certamente più malleabile di fronte a pressioni di varia natura. Ovviamente stiamo parlando di rischi potenziali e non di automatismi. Rischi che però non possono essere sottovalutati sia per l'apertura che l'architettura contrattuale sottostante alla concessione consente, sia per il contesto che la cronaca ci racconta quasi quotidianamente"
(Analisi del contratto di concessione dell'A. O. San Gerardo di Monza).

Il paradosso è quindi evidente! Il pubblico affida ad un soggetto privato per 30 anni la gestione dei servizi connessi all'ospedale e quel privato per 30 anni possiede un assai largo margine di manovra nella gestione dei subappalti e delle imprese alle quali affiderà, per un numero questa volta contenuto di anni, la gestione dei servizi. A questo si aggiunge il fatto che in un settore come quello medico, ad elevato ritmo di innovazione, succedono tante cose in 20 o 30 anni: nascono nuove tecnologie, vengono scoperte nuove procedure e nuovi macchinari. L'ente pubblico, essendosi legato tramite la scelta della finanza di progetto, non è più libero di adeguarsi alla tecnologia più adeguata ed efficiente ma dipende sempre dal privato. Di fatto, durante quel periodo di tempo non ha quasi più voce in capitolo perché privato ha l'ultima parola sull'acquisto di nuove tecnologie o di diversi materiali e così via. Questa situazione può generare gravi ritardi, lacune e inefficienze. È una totale smentita della comune credenza che il contributo dei privati nell'erogazione dei servizi generi automaticamente più efficienza!

Oltre alle suddette criticità, c'è quella enorme che riguarda l'aspetto economico. Infatti, innanzitutto i costi di costruzione spesso vengono ritoccati in corso d'opera lievitando enormemente. Inoltre, dando uno sguardo agli esempi italiani esistenti, anche i successivi costi di gestione in taluni casi si rivelano superiori rispetto alla vecchia gestione interna o rispetto al precedente sistema dell’appalto del 30, 40, 50 per cento, diventando insostenibili per l'ente pubblico. Già questo basterebbe per affermare con forza che per le Regioni dal punto di vista economico la scelta del project financing non è altro che una fregatura pazzesca! Ma c'è altro! Richiamiamo ancora una volta le riflessioni di Ivan Cicconi riguardo a questo scenario:

"Le prospettive a medio termine sono assolutamente drammatiche per l'assistenza sanitaria, perché nel momento in cui si viene a privatizzare la gestione del 50% dei servizi non sanitari, ammettendo che abbiano oggi un peso di 50, e 50 rimane in capo all'Asl nella gestione diretta, i medici, gli infermieri, le medicine e quant'altro, se le risorse calano come stanno calando, la possibilità della cosiddetta spending review è possibile ovviamente solo sulla gestione diretta. Il contratto affidato al privato dei servizi non sanitari del valore di 50 rimarrà contrattualmente di 50, su questo non posso assolutamente agire, anzi i contratti prevedono la loro indicizzazione, per cui tendenzialmente sarà di più per cui se le risorse diventano 90, 50 privatizzato rimane 50 e io posso tagliare 10 solo sulla gestione diretta, sui medici, gli infermieri e le medicine, realizzando una condizione semplicemente devastante a breve e medio termine".

Un altro aspetto da smascherare è la sbandierata suddivisione del rischio di mercato tra pubblico e privato che si realizzerebbe tramite la finanza di progetto. Per spiegare meglio, il rischio di mercato è il rischio legato all'aleatorietà della futura domanda di prestazioni e dell'impossibilità di prevedere con certezza il livello che si avrà. Nel caso di un'autostrada data in concessione ad un privato questo rischio in parte esiste perché malgrado le stime non si sa quanta gente effettivamente deciderà di transitare su quella tratta. Nel caso della finanza di progetto in ambito sanitario non esiste nessun rischio di mercato, perché l’ospedale difficilmente sarà sotto-utilizzato e in ogni caso dovrà garantire già di base una serie di funzioni. Il rischio di mercato scompare e diventa semmai rischio per la cittadinanza di non riuscire ad accedere al servizio se per esempio l'ospedale è mal ubicato e quindi anche un rischio politico per l'amministrazione conseguente al non riuscire a gestire efficacemente la salute delle persone nel territorio e venir sanzionata al successivo turno elettorale.


PERCHÉ LE AMMINISTRAZIONI UTILIZZANO IL PROJECT FINANCING?

Per l'ente pubblico questo strumento è comodo perché gli permette di non pensare a niente, si fa semplicemente l’accordo con il soggetto appaltante e poi si paga quanto pattuito. L’opera costruita viene consegnata chiavi in mano e in realtà le "chiavi" restano in condivisione perché il pubblico non deve neanche fare appalti per i vari servizi perché è già tutto pronto. Una seconda e rilevante motivazione è che il PPP può essere usato come uno strumento di esternalizzazione del debito. Quando l’ente territoriale non ha soldi subito per fare un investimento può avvalersi di questo strumento. I debiti per la costruzione vengono contratti dai privati e in questo modo
non si sforano gli equilibri di bilancio, almeno nel brevissimo termine! Perché poi risulta che il costo diventa esorbitante rispetto a quello che sarebbe stato tramite normale appalto pubblico. La finanza di progetto alimenta un modello di politica che non si preoccupa del lungo termine, del benessere della collettività in un senso ampio che includa anche le nuove generazioni. Il modello che sostiene è quello invece della politica che è comunicazione, dove l'importante è mostrare che si sta facendo qualche cosa e non se la si sta facendo bene.


PROJECT FINANCING IN PIEMONTE?

A differenza di altre Regioni come la Lombardia e il Veneto, il Piemonte non è una Regione che può “vantare” significativi esempi di utilizzo della finanza di progetto in ambito sanitario. Tuttavia, negli ultimi anni, a partire dal 2017, il project financing ha cominciato ad essere sempre più caldeggiato a livello regionale. Tra euforia e battute d’arresto, attualmente questo sistema è ancora troppo poco messo in discussione.
Nel dicembre 2017 un ordine del giorno del Consiglio Regionale del Piemonte propugna i PPP come strumento utilissimo e benefico. Citiamo direttamente un passaggio del testo:
“ritenuto che: solo con il coinvolgimento dei privati sia possibile velocizzare i tempi di realizzazione delle opere, oltre che mantenere elevati standard qualitativi…”
Vengono quindi elencate le seguenti strutture su cui si prospettava di poter intervenire con un PPP:
  • Ospedale unico VCO (Verbano-Cusio-Ossola)
  • Città della Salute Novara
  • Nuovo ospedale Asl To5
  • Struttura sanitaria della Valle Belbo
  • Ospedale di Verduno
  • Parco della Salute Torino

Qual è stato il destino di queste strutture? Vediamone alcune rapidamente.
  • Per quanto riguarda l’ospedale VCO il project financing è stato abbandonato già con la giunta Chiamparino. La giunta Cirio ha riformulato i progetti e si va verso un nuovo ospedale da 250 posti con Dea (dipartimento d'emergenza e accettazione) nella piana dell’Ossola tra Domo e Villa lasciando a Verbania il presidio ospedaliero Castelli ridimensionato nei reparti, con pronto soccorso e 100 posti letto. Il tutto prevede un finanziamento tramite l’INAIL da 150 milioni.
  • A Novara il project financing è tuttora previsto per il progetto di costruzione della “Città della Salute e della Scienza”. Si tratta di un progetto dall’iter lungo e travagliato su cui si lavora già dal 2004. Nel dicembre 2019 Cassa Depositi e Prestiti ha validato la congruità dei costi previsti dal PPP. Per finanziare quest’opera la Regione ha scelto di non domandare un finanziamento tramite l’INAIL malgrado ciò avrebbe potuto costituire un risparmio significativo per le casse dell’Ente Locale (dell’ordine dei 200 milioni di euro). La motivazione di questa scelta è stata l’urgenza nel procedere alla realizzazione del polo ospedaliero. Infatti, la via della richiesta finanziamento INAIL avrebbe probabilmente posticipato l’intero iter di diversi mesi, se non anni. Si tratta ovviamente di situazioni molto complesse che richiedono all’amministrazione locale di cimentarsi in una vera e propria “arte di cavarsela”. Tuttavia, non si può non constatare come a Novara la scelta finale sia stata, di fatto, quella di dare definitivamente avvio alla realizzazione dell’opera, mettendo così tra parentesi i dubbi riguardo alla convenienza, non solo economica, degli strumenti finanziari scelti. L’assessore regionale alla sanità Luigi Icardi conclude con queste parole la discussione in Consilio Regionale: 
    “È vero che il partenariato tendenzialmente costa più caro di altri strumenti, ma guardate che l'autofinanziamento, nelle condizioni in cui è la Regione Piemonte, non è possibile. Per dirla in parole povere: i soldi non li abbiamo. Contrarre un mutuo è certamente più conveniente […] ma non abbiamo la capacità d'indebitamento, perché tanti errori del passato, a cominciare dai derivati, hanno messo questa Regione nella condizione di non potersi indebitare ulteriormente. […] Pertanto, l'unico strumento possibile, oggi, per finanziare la costruzione dell'ospedale di Novara è il partenariato pubblico-privato.”
    La trappola in cui i nostri Enti Locali è ben visibile. Meno comprensibile, e meno accettabile, è invece la totale mancanza di visione e di spessore politico con cui i rappresentanti politici accettano di barcamenarsi alla bell’e meglio in un mandato elettivo che non ha assolutamente alcun margine di produrre vero cambiamento. Figuriamoci un miglioramento!
  • Per quanto riguarda il nuovo ospedale Asl To5, questa struttura è finalizzata alla sostituzione degli ospedali di Chieri, Moncalieri e Carmagnola, destinati alla chiusura. La Giunta Regionale ha recentemente selezionato un’area a Vadò la quale però è al centro di diverse polemiche in quanto a rischio esondazioni. Si tratta infatti di terreni attualmente a destinazione agricola per cui un altro tema è quello del consumo di suolo. I comuni direttamente interessati (Moncalieri e Trofarello) promettono di compensare la perdita di terreno agricolo modificando i rispettivi piani regolatori per rendere inedificabili altri terreni prima a destinazione edificatoria.
    Malgrado si stia ancora tentando di determinare ulteriori risparmi, ad oggi rimane che la realizzazione della Città della Salute comporterà uno stanziamento statale di 95 milioni, più 5 milioni stanziati dalla Regione e altri 220 milioni dai privati, per un totale di 320 milioni di euro.
  • Il cantiere per la realizzazione del presidio ospedaliero Valle Belbo (in realtà non si tratta un ospedale classico, ma un Polo sanitario locale che garantirà solo alcuni servizi essenziali) riparte in questi mesi dopo l’interruzione nel 2011 a causa della mancanza di finanziamenti. Nell’agosto 2017 sono poi stati stanziati dalla Regione 18,5 milioni per completare la costruzione. Inoltre, l’ASL AT è stata autorizzata ad accendere un mutuo decennale per l’importo di 10 milioni di euro. Anche in questo caso, fortunatamente, la finanza di progetto non è stata utilizzata. Permangono nonostante questo i problemi legati al finanziamento, ai ritardi, alla semplificazione del progetto (nel 2015 il piano di presidio ospedaliero è stato mutato in presidio sanitario territoriale) e al rimborso dei mutui
  • In generale, l’attuale assessore regionale alla sanità Luigi Genesio Icardi (Lega) tiene una posizione molto incoerente sul ricorso al PPP e alla finanza di progetto. Da un lato il suo giudizio è critico a causa dell’impatto economico di tali strumenti, nonostante ciò, egli ha salutato con calore la possibilità di procedere con il project financing a Novara e rimane altresì un fervente promotore del Parco della Salute di Torino. Anche quest’ultimo polo ospedaliero verrà infatti realizzato con la finanza di progetto (per un approfondimento critico sul futuro Parco della Salute si rimanda all’inchiesta realizzata da Potere al Popolo Torino).


Un aspetto che non è finanza di progetto ma che riguarda molto da vicino l’evoluzione della sanità in Piemonte, nonché la logica manageriale e di “efficientamento” economico di cui anche il project financing fa parte, è l’esternalizzazione del personale e dei servizi in ambito sanitario. L’esternalizzazione (outsourcing) è finalizzata essenzialmente alla riduzione dei costi della sanità e si lega quindi ai tagli lineari che nel tempo sono stati operati, all’attuazione dei piani di rientro da parte di alcune Regioni e al blocco delle assunzioni. La necessità di contrarre i costi si abbina all’obbligo di rispettare i Lea (Livelli essenziali di assistenza) e questo comporta, ad esempio, la proliferazione di contratti a tempo determinato e di contratti atipici. Questi ultimi molto carenti dal punto di vista della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori, dal punto di vista sia retributivo sia assicurativo, non garantendo ferie, malattia e maternità (1). Accade dunque che in una stessa struttura ospedaliera lavorino medici con diverse tipologie contrattuali: contratto a tempo determinato di natura subordinata; rapporto di collaborazione coordinata e continuativa; contratto libero professionale. E lo stesso discorso vale per gli infermieri. Una criticità fondamentale di questa evoluzione è che quando il personale medico viene assunto in outsourcing il rapporto tra i medici e l’azienda sanitaria smette di essere un rapporto professionale, per diventare invece un rapporto solo tariffario per cui i lavoratori e le lavoratrici vengono pagate a ore, spesso con cifre risibili rispetto alle responsabilità assunte. Questo provoca una degradazione forte della qualità del servizio, nonché dei minori versamenti nelle casse pensionistiche, con effetti negativi sull’intera popolazione.
Per quanto riguarda invece l’esternalizzazione dei servizi, queste riguardano, come per il project financing, la gestione delle funzioni considerate no-core. Tra quelle non cliniche abbiamo soprattutto: la sicurezza, la lavanderia, la gestione dei servizi di ristorazione, i servizi di pulizia, di parcheggio, i Centri Unificati di Prenotazione (CUP) e i call-center. Tra quelle cliniche, vengono in gran parte esternalizzati i test di laboratorio e l’assistenza infermieristica.
La progressiva privatizzazione di parti delle prestazioni sanitarie è un’evoluzione molto abilmente mascherata e spesso poco visibile, sia per gli utenti, ma anche per quella fetta di personale non direttamente interessata dal fenomeno, nonché talvolta per gli stessi primari degli ospedali che non si occupano direttamente della gestione e l’assunzione del personale.

I problemi di questo sistema che razionalizza i costi della sanità e si avvale di strumenti come il project financing li abbiamo descritti, ma qualcuno potrebbe dire che magari solo tali solo nella teoria, e che nella pratica le cose possono andare molto meglio…
Sicuramente non è quello che ha pensato la Corte dei Conti per quanto riguarda un altro, importante, progetto di PPP realizzato questa volta in Veneto: l’Ospedale all’Angelo di Mestre.
Secondo un articolo pubblicato sul Sole24Ore nel 2016, l’accordo di gestione su questo ospedale, completato nel 2008, è costato 230 milioni di euro, di cui 124 pubblici e 106 privati (in particolare Astaldi, che ha guidato l’ATI). L’accordo siglato, in linea con i tempi, molto lunghi, del PPP, durerà 23 anni. Il canone annuo a favore dei privati di 72 milioni di euro. Facendo dei rapidi conti, l’Angelo costerà alla Pubblica amministrazione la modifica cifra di 1.780 milioni di euro.
Per i privati il piatto è ricco: una quantità enorme di servizi in gestione (inclusi, tra l’altro, il laboratorio analisi, cosa che di solito non avviene, e il parcheggio dell’ospedale) sostanzialmente in monopolio, tariffe dettate da loro e legate
all'inflazione per 23 anni, “quando il mercato consentirebbe oggi di spuntare prezzi molto più bassi”.
Cambia la giunta. I nuovi si rendono ben presto conto della situazione. Le tariffe dei servizi riconosciute ai concessionari sono molto superiori a quelle che si potevano ottenere allora lanciando gare sul mercato. In particolare l’affidamento del laboratorio di analisi ai privati sembra essere stato un pessimo affare. Finiscono per aprire un contenzioso con il concessionario per rinegoziare la convenzione. È il 2014.
Peccato che ci sia in effetti un contratto firmato, ottenuto dopo una gara e firmato dagli allora amministratori, a cui i privati si appellano.
E così, da un lato c’è la Corte del Conti che spinge affinché l'Ulss riveda il contratto con il rischio concreto, in caso contrario, di essere chiamata a rispondere di danno erariale per l’enorme perdita che si va costruendo, di anno in anno, sulle casse pubbliche; dall'altra il concessionario che non ci sta a rivedere un contratto liberamente sottoscritto tra le parti e ovviamente mette sul piatto la possibile richiesta di un maxi risarcimento danni.
Il contenzioso tra le parti è ancora in corso.
In una recente deliberazione (n. 196/2018/PRSS) sempre la Corte dei Conti dichiarava: “È di tutta evidenza come per l’Angelo di Mestre (ex azienda sanitaria n. 12 Veneziana), la gestione dei P.F. rappresenti un onere ragguardevole per gli equilibri di bilancio le cui dinamiche andranno attentamente monitorate nel tempo”.
Insomma, una fregatura ben costruita in salsa PPP, uno strumento formidabile nelle mani del profitto privato: dal momento dell’accordo tra pubblico e privato la società di gestione è svincolata da qualsiasi controllo, recluta chi vuole e spende quanto vuole.
D’altronde, la stessa Ulss, muovendo da un’analisi dalla stessa svolta nel 2014 sul rendimento della convenzione, definiva il tasso di rendimento a favore della concessionaria (una percentuale compresa tra il 20,19 % ed il 21,11%) “a livello ampiamente superiore al tasso di usura”.
Ciliegina sulla torta: l’Ospedale dell’Angelo è caratterizzato da una grande hall vetrata che è una sorta di grande giardino botanico. Bello, no? No. Infatti, soprattutto nei mesi caldi, l’effetto è quello di una serra. Ancora nel giugno del 2019 i sindacati facevano notare che questo difetto, in un ospedale, non è proprio il massimo.
Come si legge nell'articolo pubblicato sul Sole24Ore, certo, l'ospedale dell'Angelo di Mestre un caso pilota in realtà lo rimane, ma di come non dovrebbe comportarsi una pubblica amministrazione nel costruire operazioni di concessione di costruzione e gestione.
Bonus! nel 2019, l’ospedale passa ai francesi: Astaldi ha venduto quasi interamente la sua quota nella società Veneta Sanitaria Finanza di Progetto (il nome dell’ATI che gestisce l’Angelo) a Core Infrastructure II, fondo controllato dalla società Mirova, del gruppo francese Ostrum Asset Management. Vale la pena ricordare che Veneta Sanitaria gestisce tutti i servizi extra-sanitari: pulizie, ristorazione, manutenzione, attività di refertazione, area commerciale, lavanderia e incassa circa 60 milioni di euro l’anno. Tutto questo, un ospedale pubblico italiano, finisce per far gola agli investitori esteri…

(1) Dichiarazione di Eleonora Albanese, componente dell’esecutivo nazionale di Anaao Assomed.




                               La Finanza di Progetto: perchè i privati stiano fuori dalla sanità  





Rossana Becarelli: Outsorcing e corruzione nella sanità piemontese


lunedì 27 luglio 2020

SANITA', PRESENTIAMO IL CONTO - Capitolo 1, parte 2^, Il piano di rientro del Piemonte: tagli alla sanità per coprire altri buchi della Regione



(al termine dell'articolo intervista al dott. Giorgio Cavallero)

COSA SONO I  PIANI DI RIENTRO 

L’ordinamento(1) prevede che, a fronte di disavanzi dei Servizi Sanitari Regionali, lo Stato concorre al loro ripiano, mettendo a disposizione un finanziamento integrativo. Ma per le regioni che presentano disavanzi che superano una determinata soglia (allora era il 7%, dal 2010 è diventata il 5%) del finanziamento complessivo, l’accesso  a questo maggior finanziamento è subordinato alla elaborazione ed attuazione di un Piano di Rientro. Il Piano deve essere oggetto di un accordo tra la Regioni, il Ministero della  salute e il Mef e ha una durata non superiore  al  triennio (prorogabile per un altro triennio). Si tratta di un vero e proprio programma di ristrutturazione industriale, finalizzato a ristabilire l’equilibrio economico-finanziario della Regione interessata (“Piano di riqualificazione del Servizio Sanitario Regionale e di riequilibrio economico”).
Qualora emergano gravi ritardi nell’attuazione del Piano di rientro, il Presidente del Consiglio dei Ministri, previa diffida, provvede alla nomina di un commissario ad acta per l’attuazione del piano.


PIANO DI RIENTRO DELLA REGIONE PIEMONTE: 2010-2016(2)

2010  -  La Regione Piemonte sottoscrive l’Accordo con Ministero della Salute e MEF il 29 luglio 2010, che ha ad oggetto il Piano di Rientro (DGR 1-415 del 2 agosto 2010). L’Addendum (DGR n. 49-1985 del 29 aprile 2011) definisce in maggiore dettaglio gli interventi per gli anni 2011-12 di riduzione della spesa da realizzare.

2013 - Proroga del Piano: il Tavolo di verifica degli adempimenti e il Comitato LEA valutano negativamente lo stato di attuazione del Piano e invitano la Regione alla prosecuzione. A tal fine viene predisposto il Programma operativo per il triennio 2013-15 (DGR n. 25-6992 del 30 dicembre 2013), approvato dal Ministero.

2017 - Piemonte esce dal Piano di Rientro: il 21 marzo 2017 viene formalizzato l’accordo con Mef e Ministero della salute che sancisce la fine del piano.


MA LA SANITÀ PIEMONTESE IN QUEGLI ANNI NON ERA IN DISEQUILIBRIO

A guardare bene però la Regione Piemonte, in quegli anni (dal 2005 al 2009) non presentava un disequilibrio nel bilancio sanitario, perché aveva integralmente coperto il disavanzo mediante stanziamenti a carico del bilancio regionale (Tabella).
Il Piano viene elaborato invece perché la Regione Piemonte aveva coperto con propri stanziamenti solo una parte del disavanzo degli anni 2002/2004. Alla Regione viene quindi imposto di predisporre il PdR al fine di ottenere l’attribuzione del maggior finanziamento statale previsto per il 2004 e per gli anni pregressi 2002 e 2003 (a norma dell’art 1 comma 279 L 266/2005).

In quegli anni la Regione Piemonte era in deficit (per € 7 miliardi, oggi il debito della regione è di € 9,3 miliardi, al netto dei conti della sanità), ma non lo era la sanità piemontese. 

La regione Piemonte quindi elaborò, insieme alla Stato, un Piano di Rientro che ha devastato la sanità piemontese, per incassare vecchi finanziamenti integrativi statali e coprire buchi che la Regione aveva creato relativamente ad altri ambiti, che non avevano a che fare con la sanità.


IN QUEGLI ANNI € 4,3 MILIARDI SONO STATI SOTTRATTI ALLA SANITÀ PER SPESE EXTRA-SANITARIE

La rivista dell’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della provincia di Torino, Torino Medica, n. 1-2017  (articolo “La Sanità piemontese da dieci anni è in credito. L’amara storia del piano di rientro”, di Giorgio Cavallero e Rosella Zerbi) ha svelato che in realtà una parte dei finanziamenti provenienti da Roma per la Sanità sono stati utilizzati come cassa per spese extra-sanitarie, come ammesso dall’assessore al bilancio. Si tratterebbe di 4,3 miliardi di euro facenti parte della dotazione del Servizio Sanitario Nazionale destinati al Servizio Sanitario Regionale che sono stati utilizzati altrove. 
La Regione giustificò ufficialmente il deficit della Regione come causato dalla Sanità, evitando così di giustificare il buco e le sue vere cause.


HA PREVISTO UNA DRASTICA RIDUZIONE DELLA SPESA SANITARIA PIEMONTESE

Il PdR definì una serie di azioni di revisione delle consistenze organiche finalizzata ad una drastica riduzione della spesa complessiva per il personale per gli anni del piano (3.424 unità) , soppressioni e riconversioni di strutture considerate minori, riduzione dei posti letto (eliminati 1.495 posti letto). 

Con pesanti effetti in termini di allungamento delle liste di attesa, riduzione di prestazioni e servizi sanitari, aumento dei ticket.


DISATTIVAZIONE DI STRUTTURE OSPEDALIERE, PUNTI NASCITA E REPARTI

Il PdR, partendo dall’assunto che le strutture di piccole dimensioni presentano una maggiore inefficienza gestionale, ha previsto la disattivazione (e in qualche caso la riconversione) di diverse strutture ospedaliere, punti nascita e reparti.
In pratica la riduzione di posti letto, attuata dalla D.G.R. n. 6-5519 del 14/03/2013, viene concentrata principalmente nelle strutture minori.
Tali strutture sono quelle individuate dal PSSR 2012-2015, indicate nel Box sottostante 

L’eliminazione di questi presidi, in sede di Piano di Rientro, da quanto risulta dagli atti, non sembra essere avvenuta in base e successivamente ad una “istruttoria” sulla effettiva inefficienza delle strutture ospedaliere di cui viene prevista la riconversione o la soppressione; il Piano non contiene un’analisi relativa alle specificità dei territori coinvolti, al grado di utilizzo delle strutture, alla facilità di accesso a presidi vicini, ai costi e all’incidenza specifica dei risparmi rispetto alle potenziali soluzioni alternative. Non svolge cioè un’analisi preliminare che dimostri la ragionevolezza, necessità e proporzionalità della scelta di eliminare quelle determinate strutture.
Per ora solo alcune delle previsioni di disattivazione sono state realizzate.




VIENE AUMENTATA ADDIZIONALE IRPEF

In conseguenza del PdR, la Regione ha aumentato la addizionale Irpef, il cui gettito finanzia la sanità. Il Piemonte è tra le regioni con le aliquote più elevate.


CHI SONO I RESPONSABILI IN PIEMONTE


A devastare la sanità piemontese, dal 2000 ad oggi, sono stati governi di centro destra e di centro di cd «sinistra», forze politiche che tuttora non hanno ammesso le proprie enormi responsabilità e che oggi si nascondono dietro l’emergenza covid per giustificare le difficoltà della sanità


STRUMENTO PER CONSENTIRE IL RISPETTO DI VINCOLI FINANZIARI EUROPEI 

Quando il Piano di Rientro coinvolse il Piemonte l’ordinamento era basato sul «Patto di stabilità interno», che fu adottato con la Legge 448/1998 e che prevedeva il concorso degli enti territoriali “alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica che il paese ha adottato con l’adesione al Patto di stabilità e crescita” europeo, varato nel 1997. 
Negli anni 2000, quando si è formata la normativa nazionale sui PdR, l’economia italiana era in difficoltà e i vincoli sui conti pubblici indotti dalle regole europee condizionavano fortemente le politiche pubbliche. I Piani di Rientro sono un istituto creato per mettere mano ai disavanzi sanitari regionali e piegare i bilanci regionali alle esigenze legate al rispetto dei vincoli finanziari europei.

Attraverso i PdR, che hanno la forma di accordi tra Ministeri  e Regione, lo Stato riesce a controllare in modo agevole e rapido la spesa delle Regioni e la gestione della sanità, che è fuori dalla sua competenza, visto che spetta alle Regioni. Attraverso la dimensione pattizia dei PdR si aggira il riparto di competenze tra i vari livelli di governo, e lo Stato riesce a condizionare la gestione della sanità, cosa che non potrebbe fare al di fuori di questo strumento.


OGGI UN TERZO DELLE REGIONI  È SOTTOPOSTO A PIANI DI RIENTRO 

La normativa sui Piani di Rientro è tuttora vigente.

Attualmente un terzo delle regioni italiane è ancora sottoposto a PdR iniziati tra il 2007 e il 2010. Sono: Abbruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia, Sicilia.


Tra queste Calabria, Campania, Lazio e Molise sono commissariate.

I Pdr da anni hanno bloccato gli investimenti in queste regioni. Se il Covid colpisse fortemente le regioni del sud, l’esito sarebbe disastroso, poiché non sarebbero in grado di rispondere adeguatamente.

Le notevoli restrizioni (finanziarie, di personale, tecnologiche e strutturali) nelle regioni sottoposte a Piano di rientro, “stanno producendo effetti preoccupanti sulla capacità di erogare i servizi e sul funzionamento stesso del SSN, contribuendo ad alimentare le importanti disomogeneità presenti tra le varie regioni e di conseguenza l’equità del sistema” (Indagine Conoscitiva del Senato della Repubblica sulla sostenibilità del SSN con particolare riferimento alla garanzia dei principi di universalità , solidarietà ed equità, gennaio 2018).


(1)  Legge 311/2004 (art 1, comma 164, 173, 180) __ Legge 296/2006 (art 1, comma 796)
(2) Riferimenti normativi per il PdR piemontese: Intesa Stato-Regioni 23 marzo 2005 (art 8) __ Intesa Stato-Regioni 3 dicembre 2009 (art 14) __ Patto per la Salute 2007/2009 (§3) __ Accordo tra Regione Piemonte - Ministero della Salute - MEF 29 luglio 2010 __ DGR n. 1-415 del 2 agosto 2010 __ DGR n. 49-1985 del 29 aprile 2011 __ DGR n. 25-6992 del 30 dicembre 2013




intervista al dott. Giorgio Cavallero: 
Sanità piemontese e falso deficit del Piano di Rientro






giovedì 23 luglio 2020

SANITA', PRESENTIAMO IL CONTO - Capitolo 1: Povera sanità impoverita: i veri malanni della sanità piemontese

In occasione di questa drammatica evenienza epidemica si sono levate, quasi unanimi, le voci che hanno dichiarato in sintesi “MAI PIU’ TAGLI AL NOSTRO SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE”. 

Eppure le analisi sulla spesa sanitaria, il suo andamento e le sue componenti non sono mancate in questi anni, con studi utili e approfonditi fra i quali il consueto aggiornamento del Mef  (Ministero Economie e Finanze) con lo studio  annuale  “Monitoraggio della spesa sanitaria”  ultimo del 2019 dal quale abbiamo attinto i dati riferiti  alla  spesa sanitaria  dell Regione Piemonte.

Lo studio  riporta l’andamento, suddiviso per capitoli di spesa, nell’arco temporale dal 2002 al 2018, dal quale indistintamente per tutte le tipologie di spesa  nel periodo dal 2002 al 2006 si ha un incremento generalizzato, per arrivare ad un totale appiattimento  nel 2018.
E’ curioso come il Mef nei commenti all’analisi dei vari  capitoli di spesa esprima grande soddisfazione quando questi risultano ridotti e/o contenuti, esattamente come un’impresa che si compiaccia   della riduzione dei costi previsti dal budget rispetto al consuntivo!

Ma vediamo di entrare nel merito  di alcuni capitoli di spesa più significativi della nostra Regione, con il raffronto degli anni  2016 e 2018 rispetto al  2010 (gli importi si intendono in milioni di euro).


Spesa sanitaria corrente complessiva
anno
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
2018
totali
8.467,10
8.418,40
8.393,70
8.192,10
8.188,60
8.097,20
8.241,70
8.304,30
8.441,70
var.ass.










-225,40


-25,40
var.%









-2,66%


-0,30%
Inquietante, in quasi 10 anni la spesa corrente complessiva  è rimasta pressoché invariata.

Commento Mef
"Tale evidente cesura nella dinamica osservata dalla spesa sanitaria è principalmente il risultato del salto di paradigma avviato dal 2006 rispetto alla legislazione previgente, a seguito della forte responsabilizzazione regionale e del venir meno della regola “dell’aspettativa del ripiano dei disavanzi”, che in precedenza aveva indotto comportamenti opportunistici da parte delle Regioni, allentando il vincolo di bilancio e rendendo necessaria una rinegoziazione ex-post della cornice finanziaria."
Tradotto: dal 2006 inizia l’aziendalizzazione del SSN,  col dare la precedenza al budget economico e finanziario piuttosto che alla  salute.


Spesa per il personale 
anno
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
2018
totali
2.976,10
2.930,80
2.882,40
2.831,80
2.804,40
2.795,40
2.776,50
2.765,90
2.807,50
var.ass.










-199,60


-168,60
var.%
-6,71%
-0,06
“L’inquietante” diminuzione della spesa si traduce in 55.000 addetti a fine 2017, ben 4.000 in meno rispetto al 2009. In 10 anni la nostra sanità piemontese ha perso il 7% del suo personale e non a causa del piano di rientro imposto alla Regione Piemonte, (vedi commento del  Mef  di seguito riportato ) come meglio commentato  in altro capitolo di questa piccola indagine sulla sanità piemontese.

Commento  Mef
"Il contenimento della spesa  è sostanzialmente determinato dagli effetti delle politiche di blocco del turn over attuate dalle Regioni sotto piano di rientro e dalle misure di contenimento della spesa per il personale portate avanti autonomamente dalle altre Regioni.  Negli anni più recenti, la dinamica dell’aggregato risente, in via aggiuntiva, del blocco delle procedure contrattuali nonché della previsione di un limite al riconoscimento di incrementi retributivi al personale dipendente, che non poteva eccedere i livelli fissati dalle leggi, fatto salvo il riconoscimento dell’indennità di vacanza contrattuale."
Nessun pudore nell’affermare pacificamente le condizioni peggiorative del trattamento riservato al personale.


Spesa per la farmaceutica convenzionata
anno
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
2018
totali
774,8
697,9
643,4
608,6
595,9
583
579,7
538,8
536,9
var.ass.











-195,1


-237,9
var. % 
-25,18%
-30,70%
La compartecipazione alla spesa farmaceutica diminuisce rispetto al 2016 di 237 milioni di euro, ben -31%!

Commento Mef
"Con particolare riferimento agli ultimi anni, il trend dell’aggregato ha risentito anche dell’introduzione, sia nelle Regioni sotto piano di rientro che in quelle non sottoposte ai piani di rientro, di misure di compartecipazione del cittadino alla spesa (c.d. ticket)."
Anche in questo capitolo di spesa nessun pudore o vergogna nell’affermare che il contenimento della spesa  si è ottenuto grazie al pagamento dei ticket da parte dei cittadini! 


Spesa per l’assistenza medico-generica in convenzione (medici di base)
anno
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
2018
totali
475,2
475,1
475,9
477,7
480,3
480,6
480,4
481,8
480,6
var. ass











5,2


5,4
 var. %
1,09%
1,14%
Inquietante, anche in questo comparto in quasi 10 anni la spesa è rimasta pressoché invariata.

Commento Mef
"La sostanziale stabilità di tale voce di spesa è da ricondursi principalmente al blocco del rinnovo delle convenzioni di medicina di base e al congelamento dei relativi livelli retributivi, in analogia a quanto previsto per il personale dipendente del settore sanitario."
Continua la mancanza di pudore…


Prestazioni in natura da privato (convenzioni)
anno
2002
2006
2011
2018
totali
1.022,60
1.212,90
1.595,30
1.598,40
var. ass.

190,30
382,40
385,50
var. %

18,61%
31,53%
31,78%


increm. 2006 su 2022
increm. 2011 su 2006
Increm. 2018 su 2006
Ad evidenziare il forte incremento di affidamento al privato dei servizi sanitari si riporta il dato di confronto con il 2002, in  15 anni la  spesa aumenta del 56% (2018 su 2002) e al minor ribasso,come commenta il Mef.

Commento Mef
"L’andamento dell’aggregato riflette il miglioramento del sistema di regolazione dei volumi di spesa per le prestazioni sanitarie acquistate da operatori privati accreditati, in particolare nelle regioni sottoposte a piano di rientro. Tale regolazione si è realizzata essenzialmente attraverso la definizione di tetti di spesa e l’attribuzione di budget, con il perfezionamento dei relativi contratti in tempi coerenti con la programmazione regionale."


IL TAGLIO O COME SOSTIENE IL MEF “I CONTENIMENTI DI SPESA”  
COSA HANNO  COMPORTATO PER IL SERVIZIO SANITARIO PIEMONTESE?

I tagli al personale 
55 mila addetti alla fine del 2017, 4 mila in meno rispetto al 2009, i medici sono diminuiti del 6%, gli infermieri e i tecnici del 4%, gli amministrativi del 13%, solo nelle regioni del sud  è peggio!
Altro dato,  rispetto a 10 anni fa i dipendenti con meno di 40 anni si sono  dimezzati passando dal 31%  al 14%  mentre sono cresciuti gli ultrasessantenni, passati dal 2% al 11%... grazie al blocco delle assunzioni! La  nostra Regione ha il tasso di turn over più basso della media nazionale. Non avere personale a sufficienza, comporterà non pochi problemi per il futuro, come commenta l’Ires Piemonte nella sua relazione annuale 2019 “l’invecchiamento della popolazione determinerà un progressivo aumento della domanda di cure”.

Le chiusure degli ospedali
Negli ultimi 5 anni sono state chiuse in Piemonte 12 strutture. Commento  Ires Piemonte; “l’ospedale si sta trasformando da un luogo onnicomprensivo per la sanità in polo per il trattamento della fase acuta della malattia

I posti letto 
I posti letto negli ospedali pubblici erano 13.183 nel 2010, per scendere a 11.623 nel 2017, quindi 1.560 posti letto in meno, pari a una riduzione del 11,8%!

Il servizio socio sanitario territoriale
La legge 833 del 1978 “Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale” all’art. 25 prevede “Le prestazioni medico-specialistiche, ivi comprese quelle di diagnostica strumentale e di laboratorio, sono fornite, di norma, presso gli ambulatori e i presidi delle Unità Sanitarie Locali di cui l’utente fa parte. Negli ultimi decenni gli ambulatori territoriali sono stati drasticamente ridotti e il progetto delle “case della salute” sul territorio quali punti di riferimento al di fuori degli ospedali per malati cronici e pazienti non gravi, varato dalla amministrazione Regionale nel 2017 non è mai partito.

DOPO  QUESTA EMERGENZA   EPIDEMIOLOGICA PRESENTEREMO IL CONTO, RIVOGLIAMO TUTTO QUELLO CHE CI HANNO  TOLTO:
GLI OSPEDALI, I MEDICI, GLI INFERMIERI, I POSTI LETTO, I SERVIZI DI TERRITORIO, L’ABOLIZIONE DEI TICKET.
RIPENSARE LA SANITA’ PARTENDO DAI NOSTRI BISOGNI