martedì 28 luglio 2020

SANITA', PRESENTIAMO IL CONTO - Cap. 2: La finanza di progetto e il nostro diritto alla salute



                                   ovvero

perché i privati devono stare fuori dalla sanità in Piemonte e ovunque





(al fondo dell'articolo i video  La Finanza di Progetto: perchè i privati stiano fuori dalla sanità  e  Rossana Becarelli: Outsorcing e corruzione nella sanità piemontese)



OSPEDALI E FINANZA DI PROGETTO, UN ROVINOSO CONNUBIO?

Un ospedale è un bene pubblico sociale la cui natura e le cui funzioni possono ricondurlo anche alla categoria dei beni comuni (come dice Luca Benci, 2017). Si tratta infatti di un bene proprio della cittadinanza che non ha tra le sue finalità quella di generare profitti, ma soltanto di garantire la tutela dei diritti fondamentali attraverso la qualità delle politiche pubbliche.
Vista la loro importanza, quanto più evidente nella fase di emergenza che stiamo attraversando, è importante che gli ospedali vengano costruiti, siano resi efficienti ed accessibili alle persone che vivono nel territorio.


CHE COS’È INVECE IL LA FINANZA DI PROGETTO (PROJECT FINANCING)?

Si tratta di una particolare forma di Partenariato Pubblico-Privato (PPP). Con questa espressione si fa riferimento a tutte quelle forme di cooperazione tra pubblico e privato finalizzate alla costruzione, finanziamento e gestione di opere pubbliche o di pubblica utilità
.
La finanza di progetto, più in particolare, è una modalità di realizzazione delle opere pubbliche, ad esempio gli ospedali, che si affida al privato in maniera molto più significativa rispetto al semplice appalto. Nel PPP le realizzazioni comportano significativi investimenti a carico di soggetti privati i quali, almeno nella retorica dei suoi sostenitori, si accollano gran parte del rischio dell’operazione. In cambio, essi ricevono o una remunerazione differita al compimento dell’opera, quando l'ente pubblico inizierà a versare un canone per l’utilizzo dell’opera stessa, oppure, in cambio viene data la possibilità ai soggetti privati di beneficiare dei proventi derivanti dall'erogazione di servizi pubblici connessi con l'opera costruita.

Il PPP esiste nel mondo dagli anni ‘90. In Italia è stato introdotto nel ‘98 ma ha avuto più successo dopo la crisi finanziaria del 2008, a tragica conferma dell'irrazionalità di un sistema economico che dopo una crisi finanziaria mondiale promuove con ancora più convinzione degli strumenti finanziari complessi.
Perché il tema è importante oggi? In un momento di emergenza, viene tragicamente riportato al centro del dibattito il tema dell’efficienza degli ospedali, del loro equipaggiamento, nonché il tema dei costi della sanità!


SPIEGHIAMO IL FUNZIONAMENTO DEL PPP

L’Ente pubblico vuole costruire un ospedale, delinea un progetto di massima in base alle necessità di posti letto, laboratori ecc e calcola una spesa totale indicativa.
Quindi, affida l’incarico di occuparsi di tutto il resto ad un’ATI (Associazione temporanea di imprese) la quale si occuperà di cercare un promotore finanziario (di solito una ditta di costruzioni). Viene bandita una gara a cui partecipano vari raggruppamenti di imprese. Per partecipare, infatti, le varie ditte di costruzioni raccolgono dei partner (chi si occupa dell’impiantistica, chi fornisce ossigeno e altri gas medicali, chi fornisce energia elettrica, riscaldamento, pulizie, ecc). Le varie ditte chiedono ai partner: sei disposto a mettere tale percentuale? E così, man mano, si compone il budget iniziale messo dal privato.
Il pubblico anche lui ci mette una percentuale (stabilita per legge max 49%) e il privato ci mette il resto.
A questo punto, cosa prevede l’accordo secondo il modello project financing?
Il pubblico garantisce la restituzione dell’investimento iniziale a cui si aggiungono gli interessi e un canone (che di solito si aggira attorno ai 10-15% dell'investimento iniziale). In alternativa al canone, al privato viene affidata la gestione dei servizi “no-core” (quindi quelli non medicali) connessi con l’ospedale. Questi possono essere sfruttati economicamente in tutta libertà per un definito prefissato di anni che sono quelli ritenuti necessari per rientrare dell'investimento iniziale e delle varie spese di gestione e manutenzione nel corso del tempo realizzate. Il periodo di concessione è solitamente molto lungo, tra i 20 e i 30 anni.


LE CRITICITÀ DI QUESTO MODELLO SONO INNUMEREVOLI E LA LOGICA CHE ESSO ESPRIME È IPOCRITA E CRUDELE.

Innanzitutto, la costruzione di un ospedale, cioè di un bene comune utile alla collettività, diventa un’occasione di profitto. Anche se alle società private vengono affidate attività cosiddette "no-core" questa distinzione non annulla i problemi. Un ospedale, infatti, è una macchina complessa e tutte le sue parti sono indispensabili. Per fare un esempio: una chirurga bravissima che opera senza strumenti sterilizzati e a lume di candela ovviamente non riuscirà a fare granché! Facendo dunque un ragionamento di sistema, tutti i servizi che in qualche modo contribuiscono al funzionamento dell’ospedale sono anche loro "core".

A questo primo problema si aggiunge quello, strettamente connesso, della durata della concessione che come si è detto è di solito tra i 20 e i 30 anni. In pratica, si affida ad un monopolista per un periodo estremamente lungo la gestione dei servizi che stanno attorno alla vita dell’ospedale (affidamento che prima l'Asl faceva con appalti di servizi della durata di 3-5 anni al massimo). I servizi non sanitari diventano in questo modo per il privato una gallina dalle uova d’oro per fare rientrare il privato dai costi sostenuti per la costruzione dell’ospedale. Oltre quindi a innescarsi, nella fase iniziale, la corsa da parte delle varie ditte per riuscire a far parte dell’ATI, esiste un altro aspetto ben sottolineato da una relazione dell'ingeniere Ivan Cicconi:

"Il concessionario, a parte alcuni vincoli di informazione nei confronti del Concedente, nella gestione dei servizi non è sottoposto al rispetto delle norme del Codice dei contratti pubblici essendo sostanzialmente libero di affidare, subaffidare o appaltare a chi vuole e come vuole il servizio. Può ad esempio appaltare il servizio con una gara di appalto al massimo ribasso, seguendo solo le regole sancite nel Codice Civile. Siamo dunque in presenza di una sorta di privatizzazione della gestione dei servizi “no core”, nella quale il concessionario potrebbe, legittimamente, realizzare una convenienza data dalla differenza fra l'importo percepito dall'Azienda Ospedaliera e quello pagato all'appaltatore. L'affidamento dell'appalto avrebbe ovviamente una durata limitata esponendo l'appaltatore al rischio di pressioni distorte per garantirsi il rinnovo del contratto. L'interesse dell'appaltatore, o subappaltatore, o subaffidatario, ad avere rinnovato il contratto per tutta la durata della concessione lo rende certamente più malleabile di fronte a pressioni di varia natura. Ovviamente stiamo parlando di rischi potenziali e non di automatismi. Rischi che però non possono essere sottovalutati sia per l'apertura che l'architettura contrattuale sottostante alla concessione consente, sia per il contesto che la cronaca ci racconta quasi quotidianamente"
(Analisi del contratto di concessione dell'A. O. San Gerardo di Monza).

Il paradosso è quindi evidente! Il pubblico affida ad un soggetto privato per 30 anni la gestione dei servizi connessi all'ospedale e quel privato per 30 anni possiede un assai largo margine di manovra nella gestione dei subappalti e delle imprese alle quali affiderà, per un numero questa volta contenuto di anni, la gestione dei servizi. A questo si aggiunge il fatto che in un settore come quello medico, ad elevato ritmo di innovazione, succedono tante cose in 20 o 30 anni: nascono nuove tecnologie, vengono scoperte nuove procedure e nuovi macchinari. L'ente pubblico, essendosi legato tramite la scelta della finanza di progetto, non è più libero di adeguarsi alla tecnologia più adeguata ed efficiente ma dipende sempre dal privato. Di fatto, durante quel periodo di tempo non ha quasi più voce in capitolo perché privato ha l'ultima parola sull'acquisto di nuove tecnologie o di diversi materiali e così via. Questa situazione può generare gravi ritardi, lacune e inefficienze. È una totale smentita della comune credenza che il contributo dei privati nell'erogazione dei servizi generi automaticamente più efficienza!

Oltre alle suddette criticità, c'è quella enorme che riguarda l'aspetto economico. Infatti, innanzitutto i costi di costruzione spesso vengono ritoccati in corso d'opera lievitando enormemente. Inoltre, dando uno sguardo agli esempi italiani esistenti, anche i successivi costi di gestione in taluni casi si rivelano superiori rispetto alla vecchia gestione interna o rispetto al precedente sistema dell’appalto del 30, 40, 50 per cento, diventando insostenibili per l'ente pubblico. Già questo basterebbe per affermare con forza che per le Regioni dal punto di vista economico la scelta del project financing non è altro che una fregatura pazzesca! Ma c'è altro! Richiamiamo ancora una volta le riflessioni di Ivan Cicconi riguardo a questo scenario:

"Le prospettive a medio termine sono assolutamente drammatiche per l'assistenza sanitaria, perché nel momento in cui si viene a privatizzare la gestione del 50% dei servizi non sanitari, ammettendo che abbiano oggi un peso di 50, e 50 rimane in capo all'Asl nella gestione diretta, i medici, gli infermieri, le medicine e quant'altro, se le risorse calano come stanno calando, la possibilità della cosiddetta spending review è possibile ovviamente solo sulla gestione diretta. Il contratto affidato al privato dei servizi non sanitari del valore di 50 rimarrà contrattualmente di 50, su questo non posso assolutamente agire, anzi i contratti prevedono la loro indicizzazione, per cui tendenzialmente sarà di più per cui se le risorse diventano 90, 50 privatizzato rimane 50 e io posso tagliare 10 solo sulla gestione diretta, sui medici, gli infermieri e le medicine, realizzando una condizione semplicemente devastante a breve e medio termine".

Un altro aspetto da smascherare è la sbandierata suddivisione del rischio di mercato tra pubblico e privato che si realizzerebbe tramite la finanza di progetto. Per spiegare meglio, il rischio di mercato è il rischio legato all'aleatorietà della futura domanda di prestazioni e dell'impossibilità di prevedere con certezza il livello che si avrà. Nel caso di un'autostrada data in concessione ad un privato questo rischio in parte esiste perché malgrado le stime non si sa quanta gente effettivamente deciderà di transitare su quella tratta. Nel caso della finanza di progetto in ambito sanitario non esiste nessun rischio di mercato, perché l’ospedale difficilmente sarà sotto-utilizzato e in ogni caso dovrà garantire già di base una serie di funzioni. Il rischio di mercato scompare e diventa semmai rischio per la cittadinanza di non riuscire ad accedere al servizio se per esempio l'ospedale è mal ubicato e quindi anche un rischio politico per l'amministrazione conseguente al non riuscire a gestire efficacemente la salute delle persone nel territorio e venir sanzionata al successivo turno elettorale.


PERCHÉ LE AMMINISTRAZIONI UTILIZZANO IL PROJECT FINANCING?

Per l'ente pubblico questo strumento è comodo perché gli permette di non pensare a niente, si fa semplicemente l’accordo con il soggetto appaltante e poi si paga quanto pattuito. L’opera costruita viene consegnata chiavi in mano e in realtà le "chiavi" restano in condivisione perché il pubblico non deve neanche fare appalti per i vari servizi perché è già tutto pronto. Una seconda e rilevante motivazione è che il PPP può essere usato come uno strumento di esternalizzazione del debito. Quando l’ente territoriale non ha soldi subito per fare un investimento può avvalersi di questo strumento. I debiti per la costruzione vengono contratti dai privati e in questo modo
non si sforano gli equilibri di bilancio, almeno nel brevissimo termine! Perché poi risulta che il costo diventa esorbitante rispetto a quello che sarebbe stato tramite normale appalto pubblico. La finanza di progetto alimenta un modello di politica che non si preoccupa del lungo termine, del benessere della collettività in un senso ampio che includa anche le nuove generazioni. Il modello che sostiene è quello invece della politica che è comunicazione, dove l'importante è mostrare che si sta facendo qualche cosa e non se la si sta facendo bene.


PROJECT FINANCING IN PIEMONTE?

A differenza di altre Regioni come la Lombardia e il Veneto, il Piemonte non è una Regione che può “vantare” significativi esempi di utilizzo della finanza di progetto in ambito sanitario. Tuttavia, negli ultimi anni, a partire dal 2017, il project financing ha cominciato ad essere sempre più caldeggiato a livello regionale. Tra euforia e battute d’arresto, attualmente questo sistema è ancora troppo poco messo in discussione.
Nel dicembre 2017 un ordine del giorno del Consiglio Regionale del Piemonte propugna i PPP come strumento utilissimo e benefico. Citiamo direttamente un passaggio del testo:
“ritenuto che: solo con il coinvolgimento dei privati sia possibile velocizzare i tempi di realizzazione delle opere, oltre che mantenere elevati standard qualitativi…”
Vengono quindi elencate le seguenti strutture su cui si prospettava di poter intervenire con un PPP:
  • Ospedale unico VCO (Verbano-Cusio-Ossola)
  • Città della Salute Novara
  • Nuovo ospedale Asl To5
  • Struttura sanitaria della Valle Belbo
  • Ospedale di Verduno
  • Parco della Salute Torino

Qual è stato il destino di queste strutture? Vediamone alcune rapidamente.
  • Per quanto riguarda l’ospedale VCO il project financing è stato abbandonato già con la giunta Chiamparino. La giunta Cirio ha riformulato i progetti e si va verso un nuovo ospedale da 250 posti con Dea (dipartimento d'emergenza e accettazione) nella piana dell’Ossola tra Domo e Villa lasciando a Verbania il presidio ospedaliero Castelli ridimensionato nei reparti, con pronto soccorso e 100 posti letto. Il tutto prevede un finanziamento tramite l’INAIL da 150 milioni.
  • A Novara il project financing è tuttora previsto per il progetto di costruzione della “Città della Salute e della Scienza”. Si tratta di un progetto dall’iter lungo e travagliato su cui si lavora già dal 2004. Nel dicembre 2019 Cassa Depositi e Prestiti ha validato la congruità dei costi previsti dal PPP. Per finanziare quest’opera la Regione ha scelto di non domandare un finanziamento tramite l’INAIL malgrado ciò avrebbe potuto costituire un risparmio significativo per le casse dell’Ente Locale (dell’ordine dei 200 milioni di euro). La motivazione di questa scelta è stata l’urgenza nel procedere alla realizzazione del polo ospedaliero. Infatti, la via della richiesta finanziamento INAIL avrebbe probabilmente posticipato l’intero iter di diversi mesi, se non anni. Si tratta ovviamente di situazioni molto complesse che richiedono all’amministrazione locale di cimentarsi in una vera e propria “arte di cavarsela”. Tuttavia, non si può non constatare come a Novara la scelta finale sia stata, di fatto, quella di dare definitivamente avvio alla realizzazione dell’opera, mettendo così tra parentesi i dubbi riguardo alla convenienza, non solo economica, degli strumenti finanziari scelti. L’assessore regionale alla sanità Luigi Icardi conclude con queste parole la discussione in Consilio Regionale: 
    “È vero che il partenariato tendenzialmente costa più caro di altri strumenti, ma guardate che l'autofinanziamento, nelle condizioni in cui è la Regione Piemonte, non è possibile. Per dirla in parole povere: i soldi non li abbiamo. Contrarre un mutuo è certamente più conveniente […] ma non abbiamo la capacità d'indebitamento, perché tanti errori del passato, a cominciare dai derivati, hanno messo questa Regione nella condizione di non potersi indebitare ulteriormente. […] Pertanto, l'unico strumento possibile, oggi, per finanziare la costruzione dell'ospedale di Novara è il partenariato pubblico-privato.”
    La trappola in cui i nostri Enti Locali è ben visibile. Meno comprensibile, e meno accettabile, è invece la totale mancanza di visione e di spessore politico con cui i rappresentanti politici accettano di barcamenarsi alla bell’e meglio in un mandato elettivo che non ha assolutamente alcun margine di produrre vero cambiamento. Figuriamoci un miglioramento!
  • Per quanto riguarda il nuovo ospedale Asl To5, questa struttura è finalizzata alla sostituzione degli ospedali di Chieri, Moncalieri e Carmagnola, destinati alla chiusura. La Giunta Regionale ha recentemente selezionato un’area a Vadò la quale però è al centro di diverse polemiche in quanto a rischio esondazioni. Si tratta infatti di terreni attualmente a destinazione agricola per cui un altro tema è quello del consumo di suolo. I comuni direttamente interessati (Moncalieri e Trofarello) promettono di compensare la perdita di terreno agricolo modificando i rispettivi piani regolatori per rendere inedificabili altri terreni prima a destinazione edificatoria.
    Malgrado si stia ancora tentando di determinare ulteriori risparmi, ad oggi rimane che la realizzazione della Città della Salute comporterà uno stanziamento statale di 95 milioni, più 5 milioni stanziati dalla Regione e altri 220 milioni dai privati, per un totale di 320 milioni di euro.
  • Il cantiere per la realizzazione del presidio ospedaliero Valle Belbo (in realtà non si tratta un ospedale classico, ma un Polo sanitario locale che garantirà solo alcuni servizi essenziali) riparte in questi mesi dopo l’interruzione nel 2011 a causa della mancanza di finanziamenti. Nell’agosto 2017 sono poi stati stanziati dalla Regione 18,5 milioni per completare la costruzione. Inoltre, l’ASL AT è stata autorizzata ad accendere un mutuo decennale per l’importo di 10 milioni di euro. Anche in questo caso, fortunatamente, la finanza di progetto non è stata utilizzata. Permangono nonostante questo i problemi legati al finanziamento, ai ritardi, alla semplificazione del progetto (nel 2015 il piano di presidio ospedaliero è stato mutato in presidio sanitario territoriale) e al rimborso dei mutui
  • In generale, l’attuale assessore regionale alla sanità Luigi Genesio Icardi (Lega) tiene una posizione molto incoerente sul ricorso al PPP e alla finanza di progetto. Da un lato il suo giudizio è critico a causa dell’impatto economico di tali strumenti, nonostante ciò, egli ha salutato con calore la possibilità di procedere con il project financing a Novara e rimane altresì un fervente promotore del Parco della Salute di Torino. Anche quest’ultimo polo ospedaliero verrà infatti realizzato con la finanza di progetto (per un approfondimento critico sul futuro Parco della Salute si rimanda all’inchiesta realizzata da Potere al Popolo Torino).


Un aspetto che non è finanza di progetto ma che riguarda molto da vicino l’evoluzione della sanità in Piemonte, nonché la logica manageriale e di “efficientamento” economico di cui anche il project financing fa parte, è l’esternalizzazione del personale e dei servizi in ambito sanitario. L’esternalizzazione (outsourcing) è finalizzata essenzialmente alla riduzione dei costi della sanità e si lega quindi ai tagli lineari che nel tempo sono stati operati, all’attuazione dei piani di rientro da parte di alcune Regioni e al blocco delle assunzioni. La necessità di contrarre i costi si abbina all’obbligo di rispettare i Lea (Livelli essenziali di assistenza) e questo comporta, ad esempio, la proliferazione di contratti a tempo determinato e di contratti atipici. Questi ultimi molto carenti dal punto di vista della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori, dal punto di vista sia retributivo sia assicurativo, non garantendo ferie, malattia e maternità (1). Accade dunque che in una stessa struttura ospedaliera lavorino medici con diverse tipologie contrattuali: contratto a tempo determinato di natura subordinata; rapporto di collaborazione coordinata e continuativa; contratto libero professionale. E lo stesso discorso vale per gli infermieri. Una criticità fondamentale di questa evoluzione è che quando il personale medico viene assunto in outsourcing il rapporto tra i medici e l’azienda sanitaria smette di essere un rapporto professionale, per diventare invece un rapporto solo tariffario per cui i lavoratori e le lavoratrici vengono pagate a ore, spesso con cifre risibili rispetto alle responsabilità assunte. Questo provoca una degradazione forte della qualità del servizio, nonché dei minori versamenti nelle casse pensionistiche, con effetti negativi sull’intera popolazione.
Per quanto riguarda invece l’esternalizzazione dei servizi, queste riguardano, come per il project financing, la gestione delle funzioni considerate no-core. Tra quelle non cliniche abbiamo soprattutto: la sicurezza, la lavanderia, la gestione dei servizi di ristorazione, i servizi di pulizia, di parcheggio, i Centri Unificati di Prenotazione (CUP) e i call-center. Tra quelle cliniche, vengono in gran parte esternalizzati i test di laboratorio e l’assistenza infermieristica.
La progressiva privatizzazione di parti delle prestazioni sanitarie è un’evoluzione molto abilmente mascherata e spesso poco visibile, sia per gli utenti, ma anche per quella fetta di personale non direttamente interessata dal fenomeno, nonché talvolta per gli stessi primari degli ospedali che non si occupano direttamente della gestione e l’assunzione del personale.

I problemi di questo sistema che razionalizza i costi della sanità e si avvale di strumenti come il project financing li abbiamo descritti, ma qualcuno potrebbe dire che magari solo tali solo nella teoria, e che nella pratica le cose possono andare molto meglio…
Sicuramente non è quello che ha pensato la Corte dei Conti per quanto riguarda un altro, importante, progetto di PPP realizzato questa volta in Veneto: l’Ospedale all’Angelo di Mestre.
Secondo un articolo pubblicato sul Sole24Ore nel 2016, l’accordo di gestione su questo ospedale, completato nel 2008, è costato 230 milioni di euro, di cui 124 pubblici e 106 privati (in particolare Astaldi, che ha guidato l’ATI). L’accordo siglato, in linea con i tempi, molto lunghi, del PPP, durerà 23 anni. Il canone annuo a favore dei privati di 72 milioni di euro. Facendo dei rapidi conti, l’Angelo costerà alla Pubblica amministrazione la modifica cifra di 1.780 milioni di euro.
Per i privati il piatto è ricco: una quantità enorme di servizi in gestione (inclusi, tra l’altro, il laboratorio analisi, cosa che di solito non avviene, e il parcheggio dell’ospedale) sostanzialmente in monopolio, tariffe dettate da loro e legate
all'inflazione per 23 anni, “quando il mercato consentirebbe oggi di spuntare prezzi molto più bassi”.
Cambia la giunta. I nuovi si rendono ben presto conto della situazione. Le tariffe dei servizi riconosciute ai concessionari sono molto superiori a quelle che si potevano ottenere allora lanciando gare sul mercato. In particolare l’affidamento del laboratorio di analisi ai privati sembra essere stato un pessimo affare. Finiscono per aprire un contenzioso con il concessionario per rinegoziare la convenzione. È il 2014.
Peccato che ci sia in effetti un contratto firmato, ottenuto dopo una gara e firmato dagli allora amministratori, a cui i privati si appellano.
E così, da un lato c’è la Corte del Conti che spinge affinché l'Ulss riveda il contratto con il rischio concreto, in caso contrario, di essere chiamata a rispondere di danno erariale per l’enorme perdita che si va costruendo, di anno in anno, sulle casse pubbliche; dall'altra il concessionario che non ci sta a rivedere un contratto liberamente sottoscritto tra le parti e ovviamente mette sul piatto la possibile richiesta di un maxi risarcimento danni.
Il contenzioso tra le parti è ancora in corso.
In una recente deliberazione (n. 196/2018/PRSS) sempre la Corte dei Conti dichiarava: “È di tutta evidenza come per l’Angelo di Mestre (ex azienda sanitaria n. 12 Veneziana), la gestione dei P.F. rappresenti un onere ragguardevole per gli equilibri di bilancio le cui dinamiche andranno attentamente monitorate nel tempo”.
Insomma, una fregatura ben costruita in salsa PPP, uno strumento formidabile nelle mani del profitto privato: dal momento dell’accordo tra pubblico e privato la società di gestione è svincolata da qualsiasi controllo, recluta chi vuole e spende quanto vuole.
D’altronde, la stessa Ulss, muovendo da un’analisi dalla stessa svolta nel 2014 sul rendimento della convenzione, definiva il tasso di rendimento a favore della concessionaria (una percentuale compresa tra il 20,19 % ed il 21,11%) “a livello ampiamente superiore al tasso di usura”.
Ciliegina sulla torta: l’Ospedale dell’Angelo è caratterizzato da una grande hall vetrata che è una sorta di grande giardino botanico. Bello, no? No. Infatti, soprattutto nei mesi caldi, l’effetto è quello di una serra. Ancora nel giugno del 2019 i sindacati facevano notare che questo difetto, in un ospedale, non è proprio il massimo.
Come si legge nell'articolo pubblicato sul Sole24Ore, certo, l'ospedale dell'Angelo di Mestre un caso pilota in realtà lo rimane, ma di come non dovrebbe comportarsi una pubblica amministrazione nel costruire operazioni di concessione di costruzione e gestione.
Bonus! nel 2019, l’ospedale passa ai francesi: Astaldi ha venduto quasi interamente la sua quota nella società Veneta Sanitaria Finanza di Progetto (il nome dell’ATI che gestisce l’Angelo) a Core Infrastructure II, fondo controllato dalla società Mirova, del gruppo francese Ostrum Asset Management. Vale la pena ricordare che Veneta Sanitaria gestisce tutti i servizi extra-sanitari: pulizie, ristorazione, manutenzione, attività di refertazione, area commerciale, lavanderia e incassa circa 60 milioni di euro l’anno. Tutto questo, un ospedale pubblico italiano, finisce per far gola agli investitori esteri…

(1) Dichiarazione di Eleonora Albanese, componente dell’esecutivo nazionale di Anaao Assomed.




                               La Finanza di Progetto: perchè i privati stiano fuori dalla sanità  





Rossana Becarelli: Outsorcing e corruzione nella sanità piemontese