giovedì 28 maggio 2020

2 giugno ore 14,30: "Il mondo che verrà? Dipenderà da noi"

Martedì 2 giugno alle 14,30 a Torino, in piazza Castello, si terrà il presidio "Il mondo che verrà? Dipenderà da noi", convocato dal sindacato SiCobas Torino e da movimenti, realtà sociali e di base al termine di un percorso di discussione nazionale che ha portato all'organizzazione della stessa iniziativa in contemporanea in altre città italiane. Scopo è rivendicare che le conseguenze della crisi sanitaria ed economica generata dalla epidemia del Covid-19 non si abbattano su chi è in condizioni personali, sociali o economiche già deboli: i promotori dell'iniziativa hanno stilato in proposito una piattaforma di interventi chiesti al Governo e agli enti pubblici, pubblicata in https://www.facebook.com/events/3514507745233272/. Assemblea21 aderisce e sarà presente aggiungendo i contenuti frutto della propria attivitá a quelli dell'iniziativa.

giovedì 21 maggio 2020

DERIVATI: IL COMUNE ASCOLTI I 'CONSIGLI' DELLA CORTE DI CASSAZIONE.

Se il Comune di Torino volesse davvero recuperare denaro da usare per aiutare nei prossimi anni la città a uscire dalle enormi difficoltà create dalla epidemia del Coronavirus, proverebbe a non pagare alla banche tutti gli interessi possibili tra quelli che ogni anno versa loro in conseguenza dei derivati stipulati tra 20 e 30 anni fa. E potrebbe farlo anche sulla base della recente sentenza della Corte di Cassazione relativa a una causa tra il Comune di Cattolica e la BNL, applicabile anche in qualunque altra causa venga intentata da un ente pubblico per fare annullare il contratto di un derivato. La Cassazione ha stabilito infatti che se la banca non aveva fornito, prima della firma, informazioni che permettevano all'ente di stabilire con precisione quali e quanti sarebbero stati i costi da sostenere nel corso degli anni in conseguenza delle clausole previste nel contratto, il medesimo e' considerato nullo. Più volte da Assemblea21 e prima ancora da altri movimenti è stato denunciato che proprio grazie a queste clausole sfavorevoli appositamente inserite con formulazioni complesse e spesso incomprensibili, i derivati si sono rivelati fonte di grosse perdite per gli enti pubblici (ma anche per le aziende private) e quindi di grossi guadagni per le società finanziarie con cui i relativi contratti sono stati stipulati: e la Cassazione con la sentenza ha evidenziato come se non è provato che l'ente era stato esplicitamente informato delle conseguenze economiche negative che negli anni si sarebbero venute a creare (ma se lo fosse stato scatterebbero invece le responsabilità personali per danni patrimoniali degli amministratori pubblici), il derivato e' nullo. Ma non solo questo, perchè con la sentenza è stato introdotto un altro argomento forte e cioè quello per cui l'organo di un ente, come il Comune di Cattolica, che può legittimamente approvare una delibera che autorizza la firma del contratto derivato è il Consiglio Comunale e non la Giunta, come non poche volte invece è stato, perchè il derivato crea un debito il quale incide sul bilancio annuale e pluriennale dell'ente modificandone la previsione di spesa e il bilancio è una competenza superiore riservata dalla legge al Consiglio Comunale. Per cui è da considerare nullo, di conseguenza, anche il derivato deliberato solamente dalla Giunta.
L'Assessore al Bilancio Sergio Rolando nel gennaio 2019 aveva fatto approvare dalla Giunta comunale torinese una delibera per la ricerca di consulenti finanziari disponibili ad analizzare, in cambio di 35.000 euro più una percentuale di quanto mai fosse stato risparmiato a seguito della loro azione, i contratti dei derivati in carico al Comune di Torino e verificare se ci fossero le condizioni per metterne alcuni in discussione: non sappiamo che fine abbia fatto questa iniziativa, sulla quale abbiamo già espresso comunque rilievi critici per il ricorso a privati da retribuire lautamente invece che ad autorità pubbliche esperte e competenti in materia, ma riteniamo che la consulenza gratuita, anche se non richiesta, della Corte di Cassazione il Comune di Torinosia è tenuto a prenderla in considerazione e ad applicarla, utilizzando anche questo strumento per arrivare ad annullare comunque tutti i derivati ancora in suo possesso, cosa che Assemblea21 chiede da tempo

domenica 10 maggio 2020

RSA – NON SIAMO SCARTI! COS’È E COME FUNZIONA LA (ILLEGITTIMA) SANITÀ DI “SERIE B”

Le Rsa - Residenze sanitarie assistenziali  (29 mila posti letto in Piemonte, 13 mila operatori) sono strutture - tutte - accreditate con il Servizio sanitario nazionale/regionale, auotrizzate a funzionare dalla Sanità pubblica per svolgere una prestazione considerata di livello essenziale: garantire prestazioni residenziali a malati non autosufficienti (diciamo anziani, ma in realtà le Rsa sono aperte a pazienti di tutte le età e di tutte le patologie che necessitino di interventi di mantenimento della loro condizione... vedremo cosa vuol o non vuol dire tra poco). Non si tratta quindi di "case di riposo", dicitura colloquiale per indicare strutture di soggiorno di ospiti anziani, ma di strutture nelle quali i degenti hanno rilevanti e indifferibili esigenze sanitarie, scarsamente corrisposte per una dotazione insufficiente di personale e percorsi terapeutici adeguati.

PRIVATO/PUBBLICO
É vero che le Rsa sono in massima parte gestite da operatori privati (spesso grandi operatori internazionali che si avvalgono di cooperative locali, comunque di notevoli dimensioni, per garantire personale e gestione diretta), ma non sono soggetti privati tout-court, nel senso che la programmazione, il monitoraggio, la sorveglianza sulle strutture sono in capo all'ente pubblico (Regione) che quindi non può mai "chiamarsi fuori" dalla questione Rsa, come ha provato più volte a fare, per bocca dell'assessore Icardi (assessore regionale alla sanità) durante questa pandemia da Covid-19. É però un dato di fatto che la Regione copre ogni anno solo 240-245 milioni di euro di quote sanitarie per i pazienti nelle Rsa, corrispondenti al 3% del bilancio sanitario regionale. Una quota bassissima rispetto al fabbisogno, tanto che in Piemonte almeno 30 mila persone non autosufficienti per le quali è stata fatta richiesta di inserimento in Rsa hanno ricevuto risposta negativa (una risposta non legittima, poichè è la negazione di un livello essenziale). La larghissima maggioranza degli esclusi, disinformati dei propri diritti, ripiega sul ricovero in Rsa in forma privata (3.000-3.500 euro al mese) o sulla gestione domiciliare del malato, molto spesso con enormi sacrifici economici e di realizzazione personale (di solito, le donne - mogli o figlie dei malati - rinunciano in tutto o in parte al lavoro).

PRESTAZIONI INSUFFICIENTI
A fronte di costi esorbitanti e in buona parte scaricati sui privati cittadini (il 50% per i convenzionati, tutta la spesa per gli altri), la qualità delle prestazioni in Rsa è minima: non ci sono medici di struttura in Rsa, ma solo i medici di base dei singoli pazienti, che spesso non si recano in struttura; gli operatori, molto sottodimensionati rispetto al fabbisogno, sono solo operatori socio-sanitari (che non possono somministrare nemmeno le terapie) e infermieri. L'assoluta inadeguatezza della sorveglianza regionale fa sì che le Rsa molto spesso hanno dotazione di personale ancora più bassa dei già risibili standard, con conseguente abbandono terapeutico dei malati.

RSA E COVID-19: CENTINAIA (MIGLIAIA?) DI MORTI
Nella contingenza della pandemia le Rsa sono state oggetto di attenzione da parte dei mezzi di informazione per il dilagare di contagi al loro interno e delle conseguenti morti, ma il vizio è strutturale. La pandemia ha reso evidente che il sistema di presa in carico dei malati non autosufficienti li ha abbandonati dal punto di vista terapeutico. Le Rsa sono espressione di una "sanità di Serie B" destinata ai malati non autosufficienti istituita con i Livelli essenziali di assistenza del 29 novembre 2001 e del 12 gennaio 2017. Mentre la sanità "di serie A" è pubblica, gratuita salvo ticket e non pone sbarramenti all'accesso basati su condizione socio-economica del richiedente la prestazione,  quella “di serie B” (in violazione dell'universalismo della legge 833/1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale) è a pagamento (compartecipazione alta, non ticket, in ragione di quote dal 30 al 60% del costo, 50% per le Rsa), che pone sbarramenti all'accesso alle prestazioni  sanitarie sulla base di criteri socio-economci che nulla hanno a che vedere con la sanità.

COSA FARE?
Per assicurare cure dignitose e giuste ai malati non autosufficienti è necessario: 
1) insistere per il  riconoscimento delle prestazioni domiciliari con quota sanitaria riconosciuta dal Servizio sanitario (Asl) senza condizionamenti socio- economici, che possa essere d'aiuto alle famiglie che scelgono volontariamente di gestire il famigliare non autosufficiente a domicilio, non come soluzione di sostituzione rispetto ad un Servizio sanitario latitante, ma come soluzione che consenta al malato di rimanere vicino ai suoi affetti e nella sua dimensione abitativa anche nel periodo della malattia e della non autosufficienza; 
2) rivedere completamente l'organizzazione del lavoro in Rsa e aumetare la presenza medica, di medici che lavorino in equipe sul modello ospedaliero. Attenzione, questa maggiore copertura non deve scaricarsi sul costo della retta del paziente: se la retta è incrementata perchè ci sono più medici in struttura, vanno riviste le ripartizioni, altrimenti il 50% dell'utente diventa una cifra ancora più esorbitante dell'attuale; 
3) riconoscere da parte della Regione a tutti i malati cronici non autosufficienti la convenzione con il Servizio sanitario regionale/nazionale, cioè la copertura della cosiddetta quota sanitaria. I 30 mila malati esclusi dalle cure dell'Asl sono l'altra faccia - nascosta, dimenticata - della questione Rsa. Non vanno dimenticati, anche nell'interesse di noi tutti che "lavoriamo" ogni giorno per vivere più a lungo e quindi, potenzialmente, essere i pazienti di domani. Di quale Servizio sanitario dipende da come ci muoviamo oggi.

Andrea Ciattaglia 
(Fondazione Promozione sociale ONLUS http://www.fondazionepromozionesociale.it/)

mercoledì 6 maggio 2020

#restiamosvegl* La "Fase 2" per la sanità e per il sistema economico, industriale e culturale

Con il 4 maggio è stata avviata anche in Piemonte e qui a Torino la "fase 2", cioè di uscita dall'emergenza più acuta  dell'epidemia Covid-19, che viene indicata da autorità pubbliche, mezzi di informazione, poteri economici come quella che ci permetterà, se avremo tanta cautela e tanta pazienza, di tornare prima o poi alla normalità, a quello che facevamo prima. A fare, insomma, ciò che provocando la diffusione del virus fino a dove non avrebbe mai  potuto arrivare da solo, ha contribuito finora a far morire di malattia centinaia di migliaia di persone e messo in crisi tutto il mondo industrializzato e non solo. Quello che ci viene prospettato al termine della 'fase 2' e di quante altre chissà ancora (e che probabilmente in molti desideriamo, dopo settimane e settimane di privazione di libertà)  è proprio ricominciare a vivere per e nel sistema  mondiale globalizzato di produzione e consumo forsennati degli ultimi decenni: sistema che  ha dato a molti l'illusione di vivere bene o di poterlo fare, ma ha nel contempo condannato i piu' deboli alla sofferenza o o soccombere del tutto. Le sofferenze causate invece dal contagio, oltre alle già moltissime persone ammalate hanno colpito anche le molte di piu' ancora che, per via della improvvisa crisi economica, sono rimaste senza lavoro stabile o altri mezzi di sussistenza precari, senza un casa o posto in cui ripararsi, oppure magari senza assistenza di fronte ad altre malattie o alle non autosufficienze. Questa condizione di sofferenza sociale e sanitaria è destinata ad accentuarsi e allargarsi ancora di piu' se si riaprono le attività, come sta capitando, per tornare quanto prima al modello economico, sociale e di vita che ha prodotto l'epidemia: eppure, nonostante ciò, la prospettiva proposta con la 'fase 2' è proprio quella di tornare, con cautela e calma, a vivere nella "normalità" di prima, come se non fosse proprio stata quella normalità invece la causa di tutti i problemi. L'insistere da parte di mezzi di informazione, responsabili politici e detentori del potere economico-industriale nel voler convincere le persone a tornare alla condizione di tranquillità del "tutto come prima", nel farle concentrare su cosa adesso devono fare per poi, alla fine di tutto, tornare nel prima del Coronavirus, è anche il tentativo di nascondere e fare dimenticare quali e di chi sono le responsabilità, globali ma anche locali, economiche e politiche, di tutto quello che e' successo e sta succedendo. Ma queste responsabilità vanno invece ricercate e  anche subito, perchè non si può consentire che gli errori gia' fatti continuino a causare danni e sofferenze enormi.

Per questo motivo la pessima gestione della crisi sanitaria da parte dell'Amministrazione regionale, sulla quale il Comune di Torino e la sua Sindaca si sono guardati bene di intervenire nonostante proprio Torino sia la città che maggiormente ne sta sopportando le conseguenze, ha spinto gruppi di cittadine e cittadini a lanciare la proposta di una  petizione per chiedere al Governo il commissariamento della Regione Piemonte. Per i seguenti motivi:
* i preavvisi e gli avvisi ufficiali di epidemia arrivati prima che si manifestassero i primi casi non hanno fatto scattare le misure di prevenzione necessarie e tutto si è quindi scaricato sugli ospedali, che ne sono stati travolti. La pigrizia intellettuale e l’abitudine aborriscono i messaggi che li disturbano.
*  la gestione aziendalistica - e non come servizio pubblico - della sanità da parte della Regione ha considerato come costi antieconomici e quindi da comprimere al massimo quelli che sono invece fattori indispensabili alla produzione della sicurezza sanitaria collettiva. In conseguenza di ciò si sono verificati:
- la drastica riduzione dei medici, infermieri, tecnici e operatori sanitari  e il numero chiuso alla Facoltà di  Medicina (450 nel 2019 più 70 in lingua inglese)
- la chiusura di ospedali  e di presidi sanitari di base per concentrare saperi e risorse nella Città della  Salute
- il taglio dei posti letto di terapia intensiva, al di sotto della media europea, a cui ha supplito "l'opera buona" delle Fondazioni bancaarie
- la gestione “just in time”, senza la prudente creazione di scorte di magazzino, dei Dispositivi di Prevenzione Individuali  (mascherine, guanti, grembiuli, camici e  calzature per la  protezione del  personale) e degli  strumenti necessari per i test, dei tamponi, degli apparecchi respiratori
- la cancellazione delle mail di segnalazione inviate dai medici di base circa i pazienti in quarantena  domiciliare, lasciati quindi senza assistenza alcuna
-  lo scandalo delle RSA, quasi totalmente esternalizzate ai privati e con tariffe alte anche nelle poche pubbliche (in media 3000 euro/mese), con nessuna capacità di
controllo da parte del Servizio Sanitario, nazionale e regionale, che paga e tace, lasciando inoltre ben 30.000 anziani in lista d'attesa nella sola provincia di Torino.  In questa situazione si innestata poi la scelta, irresponsabile e criminale  che ha comportato un numero altissimo di vittime, di collocare i malati Covid in queste strutture.  
-  solamente due USCAS - Unità Sanitarie di Continuità Assistenziale,  dedicate all'assistenza domiciliare dei malati di Covid - messe in funzione sulle 20 previste nella sola Torino
-  nessuna attivazione dello screening di massa per individuare e curare tempestivamente le persone contagiate e  isolare i focolai  di contagio (come ha fatto in buona parte il Veneto e in pieno la Corea del Sud). Posto che il tampone pare essere al momento l’unico strumento diagnostico in grado di fornire l’informazione relativa alla infettività dei soggetti, seppur con la scarsa affidabilità del 25-30% di falsi negativi, è fondamentale aumentare la capacità di fare uno screening più ampio possibile per individuare i portatori d’infezione seppur asintomatici.

In relazione alle azioni ancora da mettere in campo contro l'espansione del contagio, esprimiamo la necessità che le autorità sanitarie diano indicazione di procedere prioritariamente alla diagnosi, alla  tutela degli operatori e  alla verifica dell’efficacia delle terapie, dedicando il resto della capacità allo screening generale della diffusione del virus. Il test sierologico rapido di cui si parla indica la presenza nel sangue di una proteina che attesta che si è entrati in contatto con il virus, ma non può testare se si è infettivi o meno e neppure se si è immuni. A questo proposito pare che non vi sia comunque alcuna certezza di immunità e che quindi le possibilità di ricaduta siano reali, per cui la ricerca degli anticorpi veri e propri sarebbe comunque un accertamento che non dà indicazioni sulla infettività.

La condizione di inefficienza e inefficacia sulla cui base viene richiesto il commissariamento della Regione Piemonte si manifesta oltretutto   in un contesto in cui  anche un comunicato stampa dell'Ordine dei Farmacisti viene trascurato (un tempo si sarebbe più' correttamente detto censurato) dai media.
Ma lo scandaloso utilizzo a senso unico dei mezzi di informazione, fino alle minacce a chi non si allinea (v. denuncia a Report) è solo uno degli elementi dello scenario complessivo di gestione della sanità in generale: altrettanto se non più scandalosa è la mercificazione della ricerca e della conoscenza attraverso i brevetti
 dei medicinali, inaudita fonte di trasferimento di  enormi risorse verso realtà industriali e aziendali monopolistiche.

Commissariare la Regione Piemonte quindi  per perseguire le responsabilità e soprattutto per cambiare rotta e  gestire la Fase 2 della sanità piemontese non più con i criteri mercantili dei costi-benefici, ma ripristinando il Servizio sanitario pubblico con  fini di prevenzione e cura, con la riapertura degli ambulatori di quartiere e degli ospedali di territorio e con il concorso della rete delle farmacie. E per effettuare inoltre con urgenza:
-          screening di massa finalizzati a scoprire i potenziali contagi, filtrare gli ammalati secondo la gravità, individuare e isolare i focolai.
-          disponibilità di  mascherine efficaci per tutti,  a prezzo controllato,
-          chiara indicazione di chi controllerà – e con quali poteri - il rispetto delle regole nei luoghi di lavoro e per recarsi al lavoro.