domenica 28 luglio 2019

Regolamento beni comuni di Torino: l'innovazione è un'altra cosa

Anche il Comune di Torino si appresta a deliberare un proprio regolamento dei beni comuni, strumento giuridico tramite il quale i cittadini possono interagire con beni di proprietà dell'ente che quest'ultimo ritiene di affidre loro per la relativa gestione.

Il modello elaborato dal Comune di Torino  risente ancora fortemente della scarsa acquisizione culturale, politica e istituzionale dell’assunto di partenza che i beni comuni sono l’opposto della proprietà, sia essa pubblica o privata  e che di conseguenza  la loro gestione non può che essere partecipativa. Non ha giovato a questo proposito nemmeno l’apporto di expertise universitarie, le quali non sono servite per superare ciò che è oggetto di maggiore critica e cioè da un parte la rigidità amministrativa, che rimanda sempre all'approvazione da parte del Consiglio comunale dei criteri di gestione elaborati dai cittadini e dall'altra l'introduzione di forme di gestione nelle quali non sono i cittadini direttamente a intervenire ma invece soggetti di diritto privato (la cosiddetta "fondazione bene comune") nei cui organi direttivi i cittadini eleggono loro rappresentanti e dei quali però possono inoltre fare parte anche soggetti privati con personalità giuridica, aprendo così la strada alla privatizzazione dei beni stessi grazie a un quadro giuridico non chiaro, ma certamente al di fuori di ogni controllo partecipativo popolare.

La bozza di regolamento torinese prevede anche l'istituto dell'uso civico, la forma più avanzata di partecipazione dei cittadini nella gestione di un bene comune, introdotta per la prima volta dall' ex- Asilo Filangieri di Napoli, la cui comunità, impegnata in attività culturali sociali e politiche, lo ebbe riconosciuto dal Comune guidato dal sindaco De Magistris dopo un articolato, ampio e partecipato percorso di confronto politico che portò il Consiglio comunale a recepire la regolamentazione predisposta e già attuata dalla comunità del Filangieri, regolamentazione la quale poi, sempre a seguito di un confronto politico ampio, fu estesa ad altre realtà di partecipazione che si erano costituite autonomamente all'interno di altri beni di proprietà del Comune di Napoli.

Le modalità di gestione dell'uso civico previste nel regolamento comunale torinese, così come altre parti, lasciano tuttavia insoddisfatti torinesi e non, anche gli stessi ispiratori napoletani, chiamati dal Comune di Torino già in passato a fornire elementi di conoscenza e che ancora recentemente hanno espresso, durante un'audizione in una commissione consiliare, un parere negativo sulla forma e sugli obiettivi che a Torino la gestione dei beni comuni potrebbe invece prendere in conseguenza della regolamentazione predisposta.

La gestione dei beni comuni non è normata da leggi nazionali e pertanto a livello locale sono possibili soluzioni diverse e non necessariamente omogenee tra gli enti che la approvano. Quello che è certo, come dimostra l'esperienza di Napoli, è che le differenze negli obiettivi e nelle forme di gestione dei beni comuni stessi dipendono dall'orientamento politico dell'amministrazione comunale che ne introduce la regolamentazione. Non c'è da stupirsi quindi che a Torino non siano raggiungibili i risultati ottenuti a Napoli, date le differenze enormi proprio dal punto di vista politico. E date quindi anche quelle nei percorsi che hanno portato e stanno portando ai rispettivi regolamenti, frutto di un lavoro di relazione e discussione pubblico, ampio e condiviso a Napoli e invece avviato e gestito in modalità ristrette a Torino, pressoché esclusivamente all'interno di percorsi istituzionali ai quali i cittadini e i gruppi non  hanno avuto accesso agevole (istituzionalizzazione peraltro favorita anche dalla sparizione dei momenti assembleari auto organizzati pubblici che per anni con cadenza domenicale avevano discusso anche di beni comuni evidenziandone nel contempo rischi e  problematicità).

Non ci stupiamo, quindi, della piega negativa presa a Torino da un'esperienza che altrove è stata invece innovazione (amministrativa, sociale e politica) sia per il l'amministrazione comunale sia per le comunità di cittadini che l'hanno voluta.