In questo decennio di crisi
abbiamo conosciuto la parola “debito” in tutto il suo odioso effetto: in suo
nome abbiamo assistito a riduzioni di personale, al ridimensionamento dei
servizi e al generale impoverimento della città, a causa del taglio dei più
svariati capitoli o voci di spesa delle casse comunali. Ogni singola vertenza
cittadina (di tipo ambientale, urbanistico, lavorativo o sociale) è venuta
sempre a cozzare contro lo spauracchio del debito, dei soldi che mancano e che
“purtroppo” impediscono a priori di soddisfare le richieste sollevate, senza
doverle nemmeno valutare e discutere. In questo modo si è assistito
all’annullamento di ogni possibile alternativa politica: anche l’attuale
amministrazione di Chiara Appendino, dopo le rituali promesse elettorali, si è
inchinata al sacro debito, che non può essere discusso o intaccato, ma
dev’essere solo pagato, e non importa a quale prezzo.
Ma
in cosa consiste realmente il debito di Torino?
Dopo due anni di attività politica
e di approfondimento sui documenti, il collettivo Assemblea 21 ha dato una
forma e un nome ad una parte consistente del macigno costituito dal debito: i
derivati. Attualmente la Città di Torino
detiene 18 contratti derivati stipulati tra il 2002 e il 2007 con le banche
JP Morgan, Banca Intesa-San Paolo, Unicredit, Royal Bank of Scotland e Dexia
(l’ultimo scade nel 2037). Solo per
pagare gli interessi di questi contratti tra il 2002 e il 2016 sono stati
bruciati più di 74 milioni di euro e per il prossimo anno la cifra stanziata in bilancio ammonta a poco meno di 17 milioni di euro. Se questi contratti venissero
chiusi ora ci costerebbero quasi 168 milioni di euro (mark to market).
Analizzando i contratti abbiamo potuto constatare che il Comune, all’epoca
della loro stipula, ha accettato condizioni chiaramente svantaggiose (soglie di
garanzie troppo alte, competenza giurisdizionale inglese, documenti non
tradotti, tassi elevati rispetto a quelli dei mutui sottostanti) riguardo alle
quali l’amministrazione ha sempre mantenuto, e continua a mantenere, massimo
segreto. Inoltre questi contratti sono
stati stipulati applicando il tasso EURIBOR, che una sentenza del 2013 dellaDirezione Generale per la Concorrenza della Commissione Europea (caso AT 39914)
ha giudicato illecito perché fissato artificiosamente con un accordo segreto
stretto tra banchieri dal 2005 al 2008.
Come ha anche recentemente
ricordato l’assessore Rolando, sul debito di Torino sono aperte diverse
inchieste, una delle quali (a cura della Corte dei Conti) dovrebbe accertare il
danno provocato dai contratti derivati. Tuttavia i giudici italiani dormono o
forse non vogliono prendere provvedimenti in contrasto con il potere
finanziario, dato che per quanto ci riguarda la truffa ai danni del Comune è evidente.
In tale ottica, risulta ancora più vergognoso pensare che a dicembre 2017 il
Comune non disponeva di 800.000 euro per confermare il posto di lavoro a 27
persone della Fondazione Torino Musei! Ma una breve riflessione evidenzia con
chiarezza che i soldi necessari a pagare i contratti derivati arrivano proprio
dalle buche lasciate nelle strade, dai tagli e vendita dei servizi pubblici
(trasporti, sociali), dalle colate di cemento e dalle famiglie in mezzo alle
strade.
Questa situazione è ormai
insostenibile: il debito che impoverisce una città è illegittimo e va
cancellato, ancor più ora che la truffa subita risulta evidente. Spetta a noi,
persone comuni, associazioni, sindacati e soggetti politici e autorganizzati,
sollevare con forza il problema per bloccare questa macelleria sociale.
Assemblea21 invita tutte e tutti ad una discussione collettiva sull’argomento lunedì 21
maggio al Gabrio con l’obbiettivo di aprire una vertenza cittadina sulla
questione tramite una mobilitazione contro il Comune di Torino e la Corte dei
Conti.
lunedì 21 maggio 2018 ore 21:00 - CSOA Gabrio – via Millio 42
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